Giuliano Montaldo: “Nicola & Bart, contro l’orrore della pena di morte”

Sacco e Vanzetti, restaurato in 4K, viene presentato alla Festa di Roma, dalla Unidis Jolly Film, in collaborazione con Cineteca di Bologna, Istituto Luce-Cinecittà e Rai Cinema


La pena di morte, il pregiudizio contro gli immigrati, l’eliminazione fisica dello “straniero” e una canzone che ancora risuona come un inno contro l’ingiustizia, ‘Here’s To You’ cantata da Joan Baez. Sacco e Vanzetti è un film potente e purtroppo ancora attuale, a distanza di tanti anni. Realizzato nel 1971 da Giuliano Montaldo, con due interpreti eccezionali come Gian Maria Volonté e Riccardo Cucciolla, è la storia dei due anarchici italiani, Bartolomeo Vanzetti e Nicola Sacco, Nicola & Bart, condannati a morte e giustiziati con la sedia elettrica il 23 agosto del 1927 con la sola colpa di avere idee politiche scomode.

Il film restaurato in 4K viene presentato alla Festa di Roma, dalla Unidis Jolly Film – in collaborazione con Cineteca di Bologna, Istituto Luce-Cinecittà e Rai Cinema. Questa nuova versione arriva a 90 anni dall’esecuzione dei due anarchici e a cinquanta dalla loro riabilitazione: ogni onta sulla loro memoria venne cancellata per decreto proprio grazie all’impatto sulle coscienze avuto dalla pellicola. Sacco e Vanzetti sarà proiettato sabato 4 novembre alle 18 in Sala Petrassi, durante una serata di gala alla presenza del regista e del maestro Ennio Morricone, autore di una colonna sonora che contribuì al grande successo, della protagonista femminile Rosanna Fratello, premiata all’epoca con il Nastro d’argento, dei nipoti di Sacco e Vanzetti, dello storico e studioso Luigi Botta, del Presidente di Amnesty Italia Antonio Marchesi. Prima del film sarà proiettata la sequenza originale dei funerali di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, avvenuti a Boston il 28 agosto 1927. Un documento raro che testimonia l’impressionante partecipazione popolare. Durante il filmato ci sarà un omaggio a Ennio Morricone, con l’esecuzione di Gilda Botta al pianoforte e di Luca Piccini al violoncello di ‘Here’s To You’. E Amnesty International, partner del progetto, descriverà il proprio impegno per l’abolizione della pena di morte nel mondo, a partire dall’adozione della Dichiarazione di Stoccolma, il primo manifesto abolizionista internazionale, emanato nel 1977. Ma il film, che presto tornerà in tv sui canali Rai, potrebbe avere anche un’uscita in sala nelle prossime settimane.

Montaldo, è stato un film complesso da realizzare?
E’ stato difficile convincere un produttore a fare un film ambientato negli Usa degli anni ’20 e poi in Italia quasi nessuno conosceva Sacco e Vanzetti perché all’epoca dei fatti c’era il fascismo che censurò completamente la vicenda. Erano ignoti anche a me, che scoprii della loro esecuzione a in un piccolo teatro operaio a Genova, in una fabbrica dell’Italsider a Sampierdarena, nell’allestimento di Sbragia. Un amico giornalista mi aiutò a saperne di più e scattò in me il desiderio di raccontare l’enorme sofferenza patita a causa dell’intolleranza. Un tema che mi appartiene da sempre e a cui ho dedicato altri film, come Gli occhiali d’oro e Giordano Bruno. Col cappello in mano, andai in giro alla ricerca di un produttore e solo dopo due anni trovai Arrigo Colombo e Giorgio Papi. Arrigo, essendo ebreo, nel 1938 era scappato dall’Italia e aveva imparato l’inglese proprio leggendo lettere di Vanzetti al comitato di difesa. Così quando gli raccontai questa storia si commosse e decide di aiutarmi.

E’ vero che faticò non poco per avere Riccardo Cucciolla per il ruolo di Nicola Sacco?
C’era questa coproduzione francese e volevano a tutti i costi Yves Montand. Ma io amavo Cucciolla e poi volevo un attore pugliese, come pugliese era anche Rosanna Fratello che faceva la moglie di Sacco ed era alla sua prima prova da attrice. Vanzetti era un uomo senza legami familiari e molto impegnato politicamente, Sacco era più schivo, aveva famiglia, una moglie e dei figli. Ebbi ragione a scegliere Cucciolla, che infatti ebbe il premio per l’interpretazione a Cannes.

Come visse Volonté la lavorazione del film?
Per tutto il periodo delle riprese non smise un attimo di essere Vanzetti, si portava il personaggio fuori dal set. Siccome aveva scoperto che durante i sette anni di detenzione Bart aveva sempre coccolato Nicola in tutti i modi, lui fece lo stesso con Cucciolla. Era commovente vedere quei due uniti nel dramma che vivevano intensamente. Volonté, che due anni dopo farà con me Giordano Bruno, aveva una totale penetrazione nel personaggio che arrivava a emulare in tutto e per tutto. Per Vanzetti aveva usato la calata piemontese – era cresciuto a Torino – ma quando fece Giordano Bruno diventò nolano.

Volonté conosceva la vicenda di Sacco e Vanzetti fin da prima?

Sì, aveva anche recitato nella pièce. Che non raccontava tutto il processo, ma si concentrava sul dramma umano.

Il film ebbe una grande eco per i temi trattati: l’ingiustizia, l’atrocità della pena di morte, la manipolazione delle prove per punire due innocenti che l’autorità vuole incastrare fin dall’inizio.
Ci furono manifestazioni in tutto il mondo, persino in india. Il film diventò una bandiera per tanti giovani, gli studenti di giurisprudenza di Boston portarono al governatore Dukakis le carte processuali tanto da riuscire a ottenere la riabilitazione dei due anarchici. Ancora oggi il movimento contro la pena di morte utilizza il film e la canzone di Joan Baez, non a caso Amnesty International è accanto a noi qui alla Festa di Roma

Dove fu girato il film?
Principalmente in Jugoslavia, la prigione che si vede nel film era stata la prigione di Tito. Poi a Dublino e in piccola parte in America. Trovammo il calzaturificio dove lavorava Sacco che era ancora in piedi e lì abbiamo girato le scene del delitto.

Nella condanna di Sacco e Vanzetti pesa, accanto all’attacco politico, anche la paranoia contro gli stranieri.
Il tribunale voleva condannare due anarchici perché c’era questa equazione anarchici uguale assassini. Gli americani avevano paura che gli immigrati italiani portassero questo virus perché si battevano per il lavoro e per la difesa degli immigrati.

Come nacque la famosa canzone?
Fu un incredibile colpo di fortuna. Ero andato in America a cercare materiale di repertorio, che trovai a Washington, e a parlare con un possibile co-produttore, cosa questa che non andò in porto. Però un giorno, uscendo dal mio albergo a New York, incontrai Furio Colombo e gli confessai che c’era una ballata che avrei voluto fosse cantata da Joan Baez. E lui mi fece: guarda che stasera Joan viene a cena a casa mia. Così gli ho consegnato un copione da darle e la mattina dopo lei mi ha chiamato e ha detto ok. L’incontro tra Baez e Morricone è un altro momento memorabile della lavorazione del film. Lei venne a Roma per registrare il brano e non potevano parlarsi perché nessuno dei due conosceva la lingua dell’altro, ma si intesero perfettamente. In un giorno hanno realizzato tutto con grandi abbracci reciproci.

Il razzismo e l’intolleranza affliggono ancora il mondo.

L’insofferenza verso gli altri continua a provocare guerre, odio, razzismo e altre follie. Ne vediamo tanta in questo mondo che va in una direzione che mi fa soffrire. Il cinema non è sufficiente, ci vuole una mobilitazione seria contro l’ingiustizia dilagante.

Bartolomeo Vanzetti, quando prende la parola in tribunale, dice ai giudici: un giorno voi sarete polvere ma i nostri nomi non saranno dimenticati.

Sono le autentiche parole pronunciate da Vanzetti e vengono dalle carte processuali. Ricordano quella che Bellarmino disse agli altri cardinali mentre si decideva della condanna di Giordano Bruno: “questo rogo rischia di bruciare in eterno”. Ed è proprio così. Sacco e Vanzetti saranno ricordati per sempre. Il cinema serve anche a questo. 

Cristiana Paternò
03 Novembre 2017

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