Bruno Dumont: “Cerco il sacro nell’ordinario, come Rossellini e Pasolini”

Un musical pop-rock-metal per raccontare la nascita di un mito ovvero l'infanzia di Giovanna d’Arco. Ne parliamo con il poliedrico e provocatorio regista francese


Un musical pop-rock-metal per raccontare la nascita di un mito ovvero l’infanzia di Giovanna d’Arco, eroina molto amata dal cinema, da Rossellini e Dreyer, da Bresson a Rivette, che il poliedrico e provocatorio Bruno Dumont (Ma Lutte, Camille Claudel, 1915, L’umanità) sceglie di immortalare nella fase germinale della sua vocazione. E lo fa attraverso la pagina di Charles Péguy (1873-1914) ma aggiornata al presente con le composizioni di Igorr e le coreografie di Philippe Decouflé.

In una natura immutabile e bucolica siamo chiamati ad immaginare l’anno 1425 con Jeannette che è ancora una semplice pastorella. Già all’età di 8 anni sente sulle sue fragili spalle il peso della dominazione degli inglesi in terra di Francia: siamo nel pieno della Guerra dei cent’anni. E osa rivolgere la parola direttamente a Dio per chiedergli di dare ai suoi connazionali il coraggio della resistenza e un condottiero capace di liberarli. Ma quel condottiero sarà proprio lei, per investitura dell’arcangelo Michele e delle sante Margherita d’Antiochia e Caterina d’Alessandria. “Giovanna – dice il sessantenne Dumont – è la figura principale della mitologia francese, perché nessuna donna ha mai amato così tanto la Francia e la Francia non è mai stata così tanto amata. Tutti i francesi – realisti, populisti, nazionalisti, socialisti, agnostici, devoti – trovano in lei ciò che stanno cercando, perché riunisce la totalità degli ideali e delle sensibilità francesi, racchiudendo in un’unica persona tutta questa diversità e contraddizione”.

Ispirato al libro “Mystère de la charité de Jeanne d’Arc” (1910), il film, visto alla Quinzaine di Cannes, si distacca da qualsiasi lettura precedente della pulzella d’Orleans e gioca sull’ibridazione di temi e accenti, lasciando lo spettatore nel dubbio se ridere o piangere, indignarsi o applaudire, ma alla fine conquistandolo con la sua sofisticata contraddittorietà in cui si rispecchia in qualche modo l’immaginario di una bambina di 12 anni: “Come diceva Charles Péguy – spiega ancora il regista-filosofo – tutti restiamo dei dodicenni. Ed è assolutamente vero: il nostro corpo invecchia ma i nostri cuori rimangono a quell’età”. Jeannette uscirà in Italia a giugno con Movies Inspired, Cinecittà News ha intervistato il regista nell’ambito dei Rendez Vous con il cinema francese in corso a Roma. 

Come si è avvicinato al mito di Giovanna d’Arco, così tanto rappresentato al teatro, al cinema, in letteratura, trovando qualcosa di nuovo e di contemporaneo?

I miti, per definizione sono atemporali, contengono qualcosa di permanente. Giovanna d’Arco è un mito e come tale andava rivitalizzato. Il mio modo di renderlo contemporaneo è stato il musical, trovo che la musica elettronica sia un equivalente dell’estasi spirituale. Non volevo fare un film intellettuale, didattico, ma volendo parlare della grazia e della conversione, la musica poteva aiutarmi. Giovanna è una donna illuminata e così volevo mostrarla.

Péguy è un autore non facile, come mai ha scelto questo suo testo?

Di Péguy tutti parlano, ma nessuno lo legge veramente. Invece è uno scrittore molto bello anche se di difficile accesso. Ancora una volta la musica mi ha fornito il mezzo per accedere a Péguy. Non c’era per forza bisogno di capire il testo, come quando ascolto una Passione di Bach e non comprendo il tedesco, la musica e la lingua lavorano comunque insieme. La sua è una poesia molto moderna, con ripetizioni di parole e uno stile attuale.

Il percorso di Péguy, dal socialismo al cattolicesimo, ha portato a un uso dei suoi testi politicamente piuttosto disinvolto, anche da parte della destra. Lei come lo vede?

Non ho una posizione politica. Giovanna d’Arco, del resto, è un personaggio amato dall’estrema destra come dall’estrema sinistra, copre tutto il campo intellettuale e politico francese e tutti gli schieramenti la reclamano. Parlare di Giovanna è parlare della Francia nella sua totalità. Detto questo, il mio lavoro è spirituale e non politico, sta allo spettatore farsi una sua idea politica. Io non sono né un profeta, né un esegeta, non scelgo tra i vari schieramenti, tra monarchia e repubblica, lavoro sulla trasfigurazione. Giovanna d’Arco è un problema mistico ed è per trovare il misticismo che le persone devono andare al cinema.
 
Nel film c’è anche molta ambiguità e ironia, lo spettatore viene messo in equilibrio tra il tragico e il ridicolo, che è sempre sfiorato.
L’ironia serve per evitare l’istituzionalizzazione di Giovanna. Lei è stata talmente messa sul piedistallo che l’umorismo è indispensabile. Lo spirituale sta in piedi con le proprie gambe, tra comico e tragico, e spesso è sull’orlo del ridicolo. Anzi, bisogna andare proprio sull’orlo del ridicolo perché là c’è qualcosa della verità. La fede in Dio è qualcosa di ridicolo e contemporaneamente molto bello. Anche la grazia si trova su questo crinale. Il film, come dice lei, cerca un punto di equilibrio di cui proprio lo spettatore è garante. Magari un altro spettatore potrebbe pensare che il film sia effettivamente solo ridicolo.
 
La piccola Jeannette si indigna per la miseria dei bambini che non hanno da mangiare. Oggi per cosa si indignerebbe?
All’origine del suo indignarsi c’è la miseria umana, piange perché altri bambini hanno fame, oggi sarebbe lo stesso. La piccola non comprende perché Dio non faccia niente e quindi decide di agire lei stessa a costo di rompere con la Chiesa che però la riassorbe. Tutto il suo rapporto con la Chiesa e con la monarchia è ambiguo, viene rigettata ma al tempo stesso si sono appropriati di lei. Finché nel 1920 è stata fatta santa.
 
Giovanna d’Arco è un mito femminile. Il suo essere una donna non è irrilevante nel suo percorso.
Lo è, come Camille Claudel, che ho raccontato in un altro film: una piccola meraviglia di donna. Giovanna è l’emanazione di ciò che è una donna, la sua massima fioritura, è un’icona femminile. Per questo è così mitica. Si eleva nella vita spirituale, è una santa, una guerriera, una donna totale. Che parla alla modernità, sia alle donne che agli uomini.
 
Il tema della guerriera, della donna che si oppone alla violenza, è molto contemporaneo.  
Sì, qui ci sono temi contemporanei, gli uomini hanno difficoltà a capire l’emancipazione della donna perché la nostra società è maschilista e abbiamo bisogno di modelli. Ma tutti gli uomini amano Giovanna d’Arco e molti uomini hanno fatto un film su Giovanna. Credo che gli sguardi maschili sulla donna siano i migliori.
 
In che direzione può andare un cambiamento dei rapporti tra i sessi?
La storia è maschilista, ma credo che ci sarà un cambiamento. Per me la cosa peggiore è l’egualitarismo, abbiamo bisogno dell’alterità, sia uomini che donne. E’ l’idea stessa di uguaglianza ad essere sbagliata. Le femministe francesi che propugnano l’egualitarismo sono per me ridicole.
 
Come ha lavorato sulle musiche?
In genere le commedie musicali sono girate in play back ma in questo caso volevo assolutamente la presa diretta. Così abbiamo fatto una musica provvisoria, che le ragazze sentivano in cuffia con un auricolare. Jeannette cantava a cappella: abbiamo registrato il suo canto, insieme ai rumori della natura, il vento, gli alberi. Poi abbiamo messo la musica in post produzione. Le ragazze che interpretano Jeannette nelle due età – a 9 e 15 anni – hanno composto le melodie, scegliendo quelle più vicine alla loro sensibilità pop. Poi il musicista ha aggiunto la sua musica, che è musica elettronica, sperimentale e d’avanguardia, mescolando i generi, dal metal al pop.
 
Come ha scelto le due interpreti?
Con un casting selvaggio. Cercavo persone che sapessero cantare e ballare ma non professionalmente. Mi piace che emerga una certa fragilità, che cantino bene, ma non perfettamente. Il film parla di come si diventa Giovanna d’Arco. C’è una bambina normale ma non del tutto, qui il profano si mescola al sacro perché il sacro nasce dal profano. Filmi qualcosa di ordinario e improvvisamente diventa straordinario. E’ la storia del cinema, specie di quello italiano, di Pasolini o Rossellini, che filmavano la vita di tutti i giorni e mostravano come fosse intrisa del sacro.

 

Cristiana Paternò
06 Aprile 2018

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