Sorrentino: non è un attacco al berlusconismo e neppure una difesa

"Ciò che non era stato approfondito era la dimensione dei sentimenti che stavano dietro l’uomo politico e certi personaggi raccontati dal film", dice il regista di Loro 2, in sala il 10 maggio


Con Loro 2, in sala il 10 maggio dopo Loro 1, Paolo Sorrentino punta tutta l’attenzione sull’uomo Berlusconi, lasciando sullo sfondo, tranne qualche rapida zoomata, quella corte di profittatori e mantenute che cercano in tutti i modi il loro posto al sole. Il Presidente/Toni Servillo è festeggiato, lusingato da stuoli di giovani ragazze disponibili, premiate con ciondoli/farfalline in oro. In suo onore si sprecano i cori osannanti: “Per fortuna che Silvio c’è”. Non può mancare il ricco campionario di battute, aforismi, barzellette che rivelano la natura dell’uomo: “C’è gente che piange quando mi vede a ‘Porta a porta’”, “Il cristianesimo predica la povertà, il comunismo la realizza”.

Sorrentino racconta la compravendita di sei senatori che mette in crisi il governo Prodi nel 2008. E intanto arriva la resa dei conti con la moglie Veronica/Elena Sofia Ricci, dopo la partecipazione ‘incomprensibile’ del marito alla festa di compleanno della 18enne Noemi a Casoria: “La sinistra ti ha graziato… sei un uomo ridicolo e malato”. Nella realtà il tono di Veronica Lario era ben più pesante: “Quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore. E tutto in nome del potere… Figure di vergini che si offrono al drago per rincorrere il successo e la notorietà… e per una strana alchimia, il Paese tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore”.

Ma Lui, convinto di avere “il carisma del ruscello”, non rinuncia, nella finzione, a inseguire le grazie di un’altra giovane, che non gli si concede perché trova la situazione patetica, disgustata “dall’alito di un vecchio”. Solo l’amico Fedele (Confalonieri)/Mattia Sbragia prova a ricondurlo al senso di realtà. E intanto la città di L’Aquila è lacerata e ferita dal terremoto… Come risollevarsi dalle macerie?

Sorrentino, il suo è un film schierato e ideologico?

Non si tratta né di un attacco, né tanto meno di una difesa. Sarebbe stato stupido porre al centro il tema del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, questione ampiamente dibattuta e fuori tempo massimo. Ciò che non era stato approfondito era la dimensione dei sentimenti che stavano dietro l’uomo politico e certi personaggi raccontati dal film. Il fatto che ci sia la controparte, Veronica Lario/Elena Sofia Ricci, che incarna forse molte domande che i detrattori avrebbero voluto fargli, non significa che io sia d’accordo con l’una o con l’altro.

Quale allora il senso del film?

Indagare le tante forme di paura che nel film riguardano i giovani, le persone di mezza età e ovviamente Berlusconi. Sarò ripetitivo nelle mie opere, ma la paura della vecchiaia è presente in Berlusconi, e la paura della morte aleggia in tutti, anche nei ragazzi di vent’anni che vengono messi in scena. Qui sta la dimensione di attualità del film, non nei fatti che sono storici. Attuali sono i sentimenti delle persone, più o meno i medesimi nei secoli, che poi si sviluppano in maniera diversa. In quel periodo storico si sono espressi con un prorompente vitalismo a cui segue un’ineluttabile delusione.

Dov’è nel film il suo sguardo, a volte non sembra distante, ma molto vicino fino al punto di accarezzare i personaggi?

Il mio sguardo sta nel tono usato, che è quello di una parola che oggi è molto presente: la tenerezza. Non volevo puntare il dito contro nessuno, sarebbe stato pretenzioso e presuntuoso. Credo che un film, un libro, a dispetto della cronaca, dell’attualità che è sempre più emotiva, irrazionale, nervosa, possono essere gli ultimi avamposti della comprensione di qualcosa. Non si tratta solo di capire ma di essere appunto comprensivi, anche se questo ti espone su temi del genere a giudizi non gradevoli. Però è un rischio che va corso comprendere il perché dei comportamenti che non ci piacciono, anche quando sono moralmente discutibili.

Con il suo film ci vuole dire che Lui, Berlusconi,  in fondo è meglio di Loro?

Eviterei di fare classifiche tra le persone. Quando ci sono in gioco le paure delle persone, non esistono né vinti né vincitori. Si può elogiare il coraggio, ma non si deve mai condannare le paure, i dolori, le difficoltà delle persone. E Il film racconta un universo in difficoltà. Di come siamo in difficoltà.

Quale è stato il punto di partenza del film?

L’idea iniziale, la chiave di accesso era quella di partire da una storia d’amore tra due persone. Poi il film prende altre direzioni, magari troppe. Era il modo più efficace, forse inedito, di raccontare persone di cui si è letto.

Lei ha detto che con Loro ha voluto fare un film sugli italiani, in che senso?

Non è proprio così. Il film è innanzitutto uno sguardo su un periodo, dal 2006 al 2010, e sulle sue caratteristiche, figlie forse degli anni ’90, un decennio poco esplorato. E’ un film anche su una parte degli italiani. Soprattutto è un film dove si esplorano sentimenti universali, una dimensione del film che spero rimanga nel tempo. Ci sono certo caratteristiche che accompagnano anche gli italiani, tra le quali quella dimensione finale dell’eroismo. Non ci sono solo quelle forme di libertà spregiudicate o depravate che si vedono nella prima parte.

Dopo aver visto Loro 1 è venuto spontaneo accoppiare ciascun personaggio un volto pubblico noto della cronaca italiana. La ritiene un’operazione corretta?

Il gioco del ‘chi è chi’ sarà anche legittimo, ma è un po’ da rotocalco. Non ha molto senso nella misura in cui nel film ci sono i personaggi reali con i loro nomi, mentre altri non sono identificabili con nomi conosciuti: il personaggio interpretato da Fabrizio Bentivoglio  non è assolutamente l’ex ministro Sandro Bondi; così come il personaggio di Kasia Smutniak non è Sabina Began. Ho dato dei nomi fittizi perché volevo essere libero di inventare dei personaggi, così come volevo seguire le vicende di personaggi autentici.

Non teme di fare a volte un film troppo alla Sorrentino?

Non posso che fare un film alla Sorrentino, è piuttosto difficile uscire da se stessi. Molti dicono che imito Kubrick, Fellini, Scorsese, e allora rispondo citando Radiguet: “Bisogna provare a imitare i capolavori e se non ci si riesce si diventa originali”.

E’ più difficile fare un film sul Papa o su Berlusconi?

Più su Berlusconi, anche se questo film non è solo e esclusivamente su Berlusconi. Quando ci si occupa di personaggi reali tutto diventa più complicato, quella che è la libertà creativa viene inevitabilmente contenuta per tante ragioni.

 

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