Terence Davies: Emily Dickinson, biografia dell’anima

A Quiet Passion, il ritratto di Emily Dickinson firmato dal britannico Terence Davies in uscita il 14 giugno con la Satine Film


E’ molto più che una cinebiografia, A Quiet Passion, il ritratto di Emily Dickinson firmato dal britannico Terence Davies in uscita il 14 giugno con la Satine. Un film che rende giustizia a questa grande poetessa americana (1830-1886) e dà corpo alla sua parola e alla sua tormentata e ricca interiorità. Figlia di un avvocato e uomo politico di Amherst, Massachussets (Keith Carradine), legata morbosamente alla sua famiglia che non lasciò mai – oltre al padre, la madre, la sorella Vinnie e il fratello Austin – cresciuta in un ambiente calvinista rigorista ma da sempre segnata da un’indole ribelle e da una spiritualità anticonformista, scrisse più di 1.700 poemi ma ne pubblicò solo una dozzina. Era inconciliabile il suo genio con una società che destinava le ragazze al matrimonio e mal sopportava donne che praticassero l’arte se non in forme sentimentali ed edulcorate. Patì nel corpo e nello spirito, stroncata a 56 anni da una malattia ai reni incurabile, convinta di non essere abbastanza bella per poter entrare in società, ma anche proto femminista capace di scagliarsi con durezza contro l’adulterio praticato dai mariti che chiedevano alle mogli devozione assoluta e le volevano assoggettate a rapporti sessuali vissuti come un mero dovere coniugale.

Terence Davies, autore celebrato dalla critica per titoli ormai leggendari come Voci lontane… sempre presenti o Il lungo giorno finisce, ha trovato in lei quasi un alter ego femminile. E la sua emozione traspare quando ne parla con i giornalisti. Mentre Cynthia Nixon – la Miranda di Sex and the City – è sorprendente nel ruolo fatto di chiaroscuri emotivi e repentini cambiamenti di tono e di umore. 

Davies, perché Emily Dickinson?

Innanzitutto perché è una grandissima poetessa. Da quando l’ho incontrata in un piccolo documentario visto in tv quando avevo 18 anni non mi ha più lasciato. Sentir leggere la sua poesia Poiché non potevo fermarmi per la morte è stata una folgorazione. Non sono andato all’università, ma ho sempre amato la lettura.

Come mai ha scelto Cynthia Nixon?

Ho visto Sex and the City una sola volta e senza audio, solo per poter vedere i suoi piani d’ascolto, che esprimono sempre verità. Sex and the City non è una serie che mi piaccia, perché se devi vivere la vita praticando quel tipo di sesso, tanto vale non vivere, ma forse lo dico solo per invidia.

Il tema della gloria postuma è molto forte nel caso di Emily Dickinson, il suo valore non fu riconosciuto dai contemporanei.

Non so perché certi talenti non vengano riconosciuti in vita, ma è un aspetto che mi ha molto attirato. Ha scritto circa 1800 poesie e solo una decina sono state pubblicate mentre era viva. Era all’avanguardia anche se non ne fu consapevole, un po’ come il grande compositore Anton Bruckner. Alcuni artisti sono fortunati, altri no. Emily non vinse il primo premio neanche a una gara di cucina per la sua pagnotta che si classificò seconda.

Come è riuscito a evitare la trappola delle attualizzazioni e contemporaneamente a restituire l’epoca senza fronzoli e leziosità?

Il tono è importantissimo. Il linguaggio parlato nel film è quello dell’Ottocento, l’inglese del Regno Unito che anche gli americani colti adottavano. I piccoli dettagli sono importanti. Poi c’è il ritmo delle battute e il ritmo di ogni singolo personaggio. 

Il film è ricco di temi sotterranei, che affiorano di volta in volta, come quello dell’integrità morale, del rispetto per la scrittura, del rapporto con la morte e con la propria anima.

Se c’è un sottotesto, non l’ho creato apposta, in modo artificiale. Sono cresciuto a Liverpool in un ambiente cattolico e l’idea dell’anima viene da lì. Oggi viviamo più a lungo di un tempo ma vorremmo comunque evitare la morte. In Emily Dickinson c’è un aspetto spirituale, anche se assolutamente non religioso, l’idea dell’anima è molto forte nella sua poetica. Non so se sia un’anima immortale, non so cosa c’è dopo la vita, ma è comunque importante curare la nostra anima e chiederci cosa ne sarà di noi. È una tensione che appartiene a qualsiasi epoca. Emily fu intransigente nel difendere la sua anima, e anche noi dovremmo avere cura della nostra vita interiore. Mi sono allontanato dal cattolicesimo, eppure ogni giorno faccio un esame di coscienza. Da morto voglio essere cremato e voglio che le mie ceneri siano spedite nello spazio, poi forse ricadranno in Inghilterra.

Crede che il suo cinema sia per tutti?

Faccio i film che sento e non credo nel montaggio veloce. Come il fast food non ti lascia niente dentro. I miei film sono lenti e a qualcuno non piace questa lentezza. Il mio cinema ti obbliga a guardare le cose, nella lentezza catturi l’attimo fuggente, l’istante in cui qualcosa avviene. Se nel montaggio tagli uno sguardo tutto cambia.

Sente un’affinità personale con Emily?

Ero il più piccolo di dieci fratelli in una famiglia della classe operaia. Quando scoprii di essere gay, l’omosessualità era ancora reato, pregavo ogni giorno Dio di rendermi come tutti gli altri, stavo talmente a lungo inginocchiato che mi sanguinavano le ginocchia, ma non me ne è venuto alcun conforto. Oggi sono un osservatore che guarda la vita dall’esterno, un outsider che ha il suo punto di forza nella solitudine. Sono scapolo e quando osservo le coppie mi chiedo come hanno fatto. Sono uno che sta al margine e per questo mi piace lavorare con gli attori, catturare l’istante della recitazione che con la ripetizione si perde.

Quindi c’è un aspetto autobiografico nel film?

Quando ero piccolo pensavo che la mia fosse la famiglia più bella del mondo. Anch’io, come lei, volevo restare per sempre così, con loro. Il problema è che le persone invecchiano, si sposano, muoiono, c’è una disintegrazione della famiglia. Capisco cosa provava Emily, tanto più che aveva una malattia incurabile e soffriva molto. Ma in lei non c’è rassegnazione, piuttosto una quieta accettazione: è questo che la rende così struggente. Nella sua Lettera al mondo accetta il fatto di essere stata ignorata e chiede addirittura di essere perdonata. Come tutti i grandi artisti non aveva idea di quanto fosse grande. Se avesse scritto opere vittoriane come quelle delle altre scrittrici della sua epoca, cioè opere sentimentali, sarebbe stata pubblicata. Anche Ibsen, che ha rivoluzionato il teatro, non voleva andare dal dottore perché non amava spogliarsi davanti a un estraneo. I veri radicali sono spesso anche tremendamente convenzionali.

Cynthia Nixon è la candidata democratica alla carica di governatore di New York.

Non conoscevo i suoi interessi politici. È una veemente democratica, una donna vera, appassionata e piena di senso dell’umorismo. Sono felice di aver lavorato con lei.

Cosa ricorda del suo primo lungometraggio Voci lontane… sempre presenti?

Mi stupisce che qualcuno veda ancora quel film! Ho scritto della mia famiglia cercando di essere sincero e parlando di temi come la morte, il tempo, la mortalità e la percezione. Mi sono ispirato anche ai versi di Thomas S. Eliot e ai suoi Quattro quartetti. L’arte è lo stato mentale indotto dalla musica, ma penso che il cinema abbia le stesse possibilità. Il film provoca uno stato mentale attraverso un taglio, una dissolvenza, un carrello. 

Emily Dickinson è considerata una protofemminista per le sue idee e soprattutto per le sue scelte. 

Non so se fosse femminista, per me quello che conta è la sua umanità. Senza l’umanità non esistiamo neppure.

Cristiana Paternò
11 Giugno 2018

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