Daniele Pezzi: “Una rete per l’underground”

Una riflessione sul rumore, sia sonoro che visivo. E' Beware the Dona Ferentes, unico titolo italiano del concorso di Pesaro 54


PESARO – Una riflessione sul rumore, sia sonoro che visivo. E’ Beware the Dona Ferentes, unico titolo italiano del concorso di Pesaro  54. Ritratto fuori dagli schemi del performer Michele Mazzani, noto come Dona Ferentes realizzato con un montaggio di riprese che coprono un arco di dieci anni, dal 2008 al 2018 e che costituiscono quasi un’antologia di formati e device di ripresa, dal telefonino al camcorder miniDV fino al 4K. L’autore, Daniele Pezzi, ravennate, classe 1977, è una vecchia conoscenza di Pesaro, dove con il video Travelgum realizzato con il collettivo Shoggoth, vinse il premio progetto video nel 2004. Nel 2017, sempre alla Mostra, ha presentato Tiresia nella sezione Satellite.

Beware the Dona Ferentes è un film sonoro ancor prima che visivo.

Volevo fare ritratto di un performer della scena underground che lavora con il suono e il rumore. Il materiale raccontava cose diverse rispetto alla semplice documentazione dei suoi concerti, quindi era inevitabile ragionare sul rumore. Rumore sonoro e anche visivo, perché nei vari filmati ci sono sgranature evidenti che si affievoliscono man mano che il film va avanti, così come il suono si affina e diventa più ascoltabile. Rumore visivo per me non è necessariamente il rumore bianco di uno schermo, ma la quantità immensa di formati diversi che inondano la rete. Ho deciso di cogliere l’occasione per riflettere su questa invadenza perché penso che il cinema ne debba dare conto. 

I materiali sono stati tutti realizzati da lei nel corso di dieci anni?

Sono maniacale nell’archiviazione al computer dei miei video. L’anno scorso ho messo in ordine i file e ho ritrovato questi filmati. Il 99% è girato direttamente da me, il film nasce inconsapevolmente anche dalla nostra amicizia iniziata grazie a una sua performance ripresa da me e che ho esposto in Italia e all’estero. Da allora ho cominciato a seguirlo sempre. Avevo solo qualche buco per i tre anni che ho vissuto all’estero, ma ho setacciato i suoi hard disc e i suoi telefoni per riempire quei buchi.

La diversità dei materiali ci mostra anche l’evoluzione delle tecniche di ripresa digitali.

Non so se sia un’evoluzione o un’involuzione. le cose vanno in una direzione e il cinema deve relazionarsi con questi materiali che vanno dal cellulare al 4K. Proprio qui a Pesaro, l’anno scorso, parlando con gli altri registi, ho capito che era una riflessione necessaria.

Il suo percorso nasce dall’arte contemporanea, poi si avvicina al cinema. La Mostra di Pesaro è stata importante in questo processo, anche per costruire una rete di autori che fanno sperimentazione?

Il mio avvicinamento al cinema è degli ultimi 5/6 anni. Pesaro è stato importante per poter parlare di cinema in un certo modo, cosa che nel contesto dell’arte contemporanea non riuscivo a fare. Dipende molto anche dal singolo mettersi in relazione e costruire una rete, con Federico Francioni ad esempio (autore di The First Shot, ndr) abbiamo iniziato a parlare della possibilità di distribuire il cinema sperimentale. In Italia ci sono poche occasioni, il cinema ha delegato al mondo dell’arte che però non è pronto a cogliere queste opere. Non siamo più negli anni ‘90 quando i giovani artisti venivano messi sotto i riflettori, oggi con la crisi economica il collezionismo è declinato. Ma è importante mostrare questi esperimenti che sono il punto di partenza per il rinnovamento anche del cinema tradizionale. Sarà un lavoro molto lungo, se riusciremo ad aprire la strada a quelli che verranno dopo di noi, sarà già qualcosa.

Come pensa che si possa distribuire questo tipo di cinema? A Pesaro se ne è parlato anche in una tavola rotonda.

Tra noi il dialogo prosegue via internet. In Italia ci sono tante realtà piccole non legate alle sale tradizionali che possono e vogliono ospitare questi film, a questo si deve affiancare una distribuzione online. Spero che l’anno prossimo qui a Pesaro si possa affrontare la questione da un punto di vista più pragmatico. I media mainstream dovrebbero dare uno spazio, magari anche piccolo, a questo tipo di cinema, per contribuire a un’educazione dello sguardo del pubblico. All’estero ci sono molte più possibilità, in Canada ad esempio esiste un sistema distributivo finanziato con soldi pubblici, totalmente non profit, che si occupa di archiviazione e conservazione del cinema di ricerca e della videoarte, mantiene i contatti con i festival internazionali, digitalizza tutti i lavori mettendoli a disposizione online con una password.

Come mai ha deciso di tornare in Italia dopo l’esperienza all’estero?

Dovunque si vada, bisogna lottare. Sono tornato a Ravenna per gli affetti e per la cultura, cose che, invecchiando, diventano più importanti. In Italia ci sono tantissime energie, esiste una comunità di artisti e musicisti.

Cristiana Paternò
25 Giugno 2018

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