Paolo Taviani: “Così la Storia diventò mito”

In occasione della presentazione a Venezia della versione restaurata di La notte di San Lorenzo, uno dei più bei film dei fratelli Taviani, il grande maestro del cinema ripercorre i retroscena del set


VENEZIA – C’è Paolo Taviani, accompagnato dalla moglie e costumista del film Lina Nerli Taviani, ad assistere alla presentazione della versione restaurata di La notte di San Lorenzo (1982), uno dei più bei film fratelli Taviani accolto  oggi con una standing ovation in sala di oltre dieci minuti, portato allo splendore originario grazie al lavoro del Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale e di Istituto Luce Cinecittà. La presentazione è l’occasione per ricordare Vittorio Taviani, scomparso lo scorso 15 aprile, e di rivedere un capolavoro senza tempo, presentato in concorso al festival di Cannes del 1982, dove vinse il Grand Prix du Jury, che parla di fascismo e Resistenza attraverso il racconto poetico di una donna, all’epoca degli avvenimenti bambina, che rivive un drammatico episodio della Resistenza in Toscana avvenuto a San Miniato, il paese dei fratelli Taviani, nell’agosto del 1944. Il restauro è stato curato da Giuseppe Lanci, docente di fotografia al CSC e direttore della fotografia che ha firmato i film dei fratelli Taviani da Good Morning Babilonia (1987) in poi, da Federico Savina per quanto riguarda il restauro del suono e da Pasquale Cuzzupoli, apprezzatissimo tecnico che lavora ai restauri realizzati a Cinecittà. 

In occasione della presentazione, il maestro rivela a CinecittàNews alcuni inediti retroscena, le scene rifatte, l’incontro con Nicola Piovani, con cui firmavano all’epoca la prima collaborazione, i timidi suggerimenti di un contadino e quei giorni di lavorazione, quando una nutrita troupe di giovani e poco conosciuti attori, formava tutte le mattine una lunga  carovana per incamminarsi insieme verso il set, dove si sostenevano a vicenda con appalusi e incoraggiamenti.

Perché avete scelto la chiave del mito per raccontare un episodio così drammatico legato alla Resistenza in Toscana? 
Dopo aver fatto nel ‘54 il primo piccolo documentario su San Miniato, San Miniato, luglio ’44, volevamo subito realizzare un film basato su quegli eventi, ma poi è passato molto tempo, per impegni o per mancanza di budget. Un giorno eravamo a San Miniato dove abbiano incontrato un sopravvissuto del duomo a cui abbiamo chiesto di raccontarci la storia, ma quello che ci ha detto non corrispondeva alla vicenda che conoscevamo. Così, incuriositi, abbiamo chiesto varie testimonianze ai sopravvissuti o ai loro parenti. Ci hanno raccontato storie diverse, accomunate dal senso finale della comunità che si unisce per vincere il male. Così abbiamo capito che quella storia nel frattempo era diventata un mito. 

L’antifascismo è raccontato in maniera poetica, come una fiaba narrata attraverso lo sguardo di una donna, allora bambina. 
La nostra grande paura era di rifare un capolavoro come Paisà di Rossellini, ma abbiamo capito che potevano raccontare della Resistenza usando un linguaggio diverso dal neorealismo. Così abbiano pensato di utilizzare la fiaba con una bambina, che rappresenta me e Vittorio in gonnella, affascinata dai racconti del nonno su Achille e Patroclo, che rivive la vicenda storica con il suo sguardo fantasioso, permettendoci di andar fuori dal piano della realtà, di approfondirlo con la fantasia, per poi tornare nuovamente a una realtà, a questo punto, arricchita.

Ha già avuto modo di vedere la versione restaurata che verrà presentata oggi? 
Sono felice che La notte di San Lorenzo sia stato restaurato dal Centro Sperimentale e da Luce Cinecittà perché per noi è il film più autobiografico, non quello che riteniamo più bello, ma sicuramente quello che ci appartiene di più. Vittorio ne sarebbe felice. Il risultato è un bel restauro, di cui ho visto varie fasi di lavorazione, quello fatto da Cinecittà è un grande lavoro da certosini. Ora aspetto di vederlo sul grande schermo per godermi l’effetto totale.

Ha qualche ricordo particolare della vita sul set durante le lavorazioni? 
La lavorazione del film è stata particolare, eravamo una troupe con tanti piccoli attori, e ogni giorno ci trovavamo e organizzavamo una carovana per dirigerci sul set carovana per andare sul set, un po’ come avviene nel film. Quando recitava uno, tutti gli altri intorno ascoltavano, e se era stato bravo ci scappava anche l’applauso.   

Ci sono state scene particolarmente difficili da girare? 
Un momento difficile è stato girare la scena del ragazzino fascista, un piccolo diavolo involontario che fa più orrore del fascismo stesso, che scappa sull’albero dove viene rincorso dal partigiano che gli intima di scendere. Dopo c’è la scena più violenta di tutto il film, l’uccisione del quindicenne da parte del partigiano a cui i fascisti hanno ucciso il padre: al momento dello sparo ci fu un urlo straziante che venne dalla troupe. Noi abbiano fermato le riprese meravigliati dalla reazione, ma effettivamente c’era una tensione così alta di partecipazione che lo sparo sembrava fosse vero. Risultato: presa diretta rovinata, abbiamo dovuto rifare la scena, che è poi venuta bene lo stesso.  

Nel film c’è un lavoro accurato sul linguaggio, che attinge anche alla tradizione popolare e ad alcuni termini provenienti dal dialetto toscano arcaico. 
Nella scena dell’uccisione del gerarca fascista e di suo figlio c’era un contadino, che era un vero contadino, che doveva incoraggiare il partigiano a sparare.  Nel momento in cui c’è il padre in terra che si contorce, noi avevamo previsto che il contadino dicesse ‘ oh sparagli, non lo vedi come soffre’. Ricordo che il contadino intervenne timidamente per suggerirci di sostituire soffre con patisce, tirando fuori questo meraviglioso termine del dialetto toscano, quasi in disuso, che esprime tutto il patimento di un padre che ha appena visto morire il proprio figlio. Noi l’abbiamo ringraziato e abbiamo seguito il consiglio.

Che cosa può raccontare “La notte di San Lorenzo” al pubblico di oggi, soprattutto più giovane? 
Non conosco bene i giovani però vedo in loro grandi fermenti e passioni, e anche il fascino per un certo tipo di film, soprattutto americano. Non credo che avranno, però, una reazione negativa nei confronti del film, né che lo giudicheranno come troppo lontano. Tuttora La notte di San Lorenzo viene recepito da vari pubblici, lo schema è una storia antica, che è stata definita un film epico. Io penso che il grande cinema epico sia quello di John Ford, non ci paragoniamo a lui ma il suo cinema fa pare della nostra formazione. In questo senso se i giovani vedranno l’aspetto epico della pellicola, riusciranno a goderne e ad apprezzarla.

Il film ha costituito anche la prima di una serie di collaborazioni con Nicola Piovani.  
Con La notte di San Lorenzo Piovani ha firmato una delle sue partitura più straordinarie. Era la nostra prima collaborazione, poi ha fatto molto altro di meraviglioso, anche per noi, ma questo l’ha fatto con una grande partecipazione e passione. Quando ho rivisto il film durante le fasi del restauro, la musica mi è arrivata immediatamente piena e nella sua interezza, come il primo giorno. L’ho anche subito chiamato per dirglielo.

Cosa la preoccupa dell’Italia di oggi, sta forse diventando ‘un Paese povero’? Il fascismo è di nuovo attuale? 
Quando è uscita la notizia del restauro ho ricevuto immediatamente due telefonate di felicitazioni, in una mi dicevano che la scena del fascista colpito dalle lance degli antichi soldati greci dovrebbe essere stampata in grande e messa in tutte le città, come simbolo dell’Italia di oggi, per ricordare cosa è stato il fascismo e come va combattuto.

Oggi purtroppo non ci sarà Vittorio ad assistere insieme a lei alla presentazione. Cosa ne avrebbe detto? 
Vorrei tanto che Vittorio potesse essere con me a vedere quanto fatto, per brontolare insieme sulle cose che magari non vanno: lui era molto attento alla fotografia e noi registi siamo persone molto esigenti. Ma penso che alla fine il risultato gli piacerebbe e che ne sarebbe davvero molto felice. 

Carmen Diotaiuti
02 Settembre 2018

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