D’Anolfi & Parenti: “Blu, omaggio al lavoro invisibile”

Dopo Spira Mirabilis un percorso dal sapore dantesco che parte dal buio delle viscere per giungere alla luce dell’approdo


VENEZIA – Dopo Spira Mirabilis, in concorso alla 73ma Mostra del cinema di Venezia, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti tornano al Lido con Blu, film breve presentato in Orizzonti. Prodotto da Montmorency Film in collaborazione con Rai Cinema, Blu racconta un viaggio notturno e sotterraneo all’interno del macchinario utilizzato per scavare i tunnel della metropolitana blu di Milano, città in cui vivono i due cineasti e a cui hanno già dedicato altri due loro lavori. Un viaggio, sia fisico che metaforico, che parte dal buio delle viscere della terra per giungere alla luce dell’approdo in stazione, quando la rottura della paratia libera i lavoratori dalla loro notte infinita, in un percorso con un lieto fine dal sapore dantesco.
Gettando, poi, uno sguardo su luoghi normalmente inaccessibili, il film vuole essere anche un omaggio a tutti i lavoratori invisibili, alla loro fatica e spesso troppo poco riconosciuta. Anche nel mondo del cinema. 

Perché la scelta di mettere in scena una delle tappe della costruzione della Metropolitana Blu di Milano? Cosa vi ha ispirato? 
Abitiamo a Milano e i cantieri della metropolitana hanno iniziato a entrate nella nostra vita, così abbiamo voluto raccontare questa grande trasformazione della città in corso. Avevamo già dedicato due film alla città, filmata prima all’interno del perimetro della sua frontiera aeroportuale, poi attraverso la bellezza e l’aspirazione verso l’infinito del suo monumento più importante, il Duomo.

Il passaggio dal buio lavoro sotterraneo alla luce dopo la rottura della paratia ha un valore simbolico? 
Volevamo fare un film al buio e, anche se in Blu la luce è sempre presente, è una pellicola di notte che inizia come un noir e che prosegue seguendo un doppio registro: da una parte film documentario sull’andamento dei lavori di costruzione, dall’altra viaggio metaforico sulla condizione umana, in un percorso con un lieto fine dal sapore un po’ dantesco.

Il tempo serrato dettato dai ritmi delle macchine che avanzano si dilata improvvisamente nel momento della scena del prelievo del sangue, quando l’attenzione si sposta all’elemento umano. 
Nei nostri film c’è sempre un elemento di rottura. Blu racconta un processo che segue le attività quotidiane dei lavoratori, dal risveglio al campo base, fino ad arrivare alla grande macchina, questa sorta di sotto marino sotterraneo. In questa fase del processo qualcosa si rompe, nei nostri progetti c’è sempre l’idea che questo possa accadere. In Blu la rottura, che ha un elemento di iperrealismo (sono i controlli che vengono fatti tutti i giorni agli operai per accertarsi che siano idonei a lavorare in un ambiente così ostile) è rappresentata nello stesso tempo con un aspetto di sogno, perché e l’unico tradimento che facciamo alla notte.

Qual è il legame rappresentato tra uomini e macchine, tra tecnologia e lavoro manuale? 
La macchina è il gigante e gli uomini sono piccolissimi. In certi momenti sembra che faccia tutto lei, e che le cose vengano fuori in un modo quasi magico. Ma sono gli uomini, i lavoratori, che si muovono attorno a lei attorno a lei quelli in grado di fare tutto, di farla funzionare, di ripararla se necessario, di rifinire il suo lavoro che è grezzo. All’inizio sembra che gli uomini servano alla macchina, poi a volte le cose si ribaltano. Una dicotomia interessante da esplorare.

Il film è uno sguardo su un luogo normalmente inaccessibili che diventa anche un omaggio ai lavoratori invisibili. 
Ci sono tante persone che lavorano in modo invisibile, senza essere visti né riconosciuti. A un certo punto la metropolitana appare ma nasce dall’immersione di questi uomini che fanno un lavoro pesante e difficoltoso. In questo senso Blu è un omaggio alla fatica di chi non si vede, a chi c’è dietro alla realizzazione di un’opera, in tutti i settori. Qualcosa che succede anche nell’industria cinematografica: vediamo un film in sala senza realizzare che dietro c’è il lavoro di tante persone. C’è anche un altro parallelismo che ci ha suggestionato: la talpa avanza 24 metri al giorno, e non può non far pensare ai 24 fotogrammi al secondo del cinema.

Carmen Diotaiuti
06 Settembre 2018

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