Thomas Vinterberg, uomini e segreti in fondo al mare

Kursk di Thomas Vinterberg in Selezione ufficiale: la parola al regista danese, che ha accompagnato il film


10 agosto 2000: un sottomarino, K-141 Kursk, punta di diamante della flotta russa, esplode internamente dopo soli due giorni di missione, scendendo a picco sul fondale del Mare di Barents: 23 dei 118 marinai dell’equipaggio sopravvissero nei 9 giorni seguenti, in balìa di operazioni di salvataggio senza efficacia, in bilico tra priorità della vita umana e tutela dei segreti di Stato.

Robert Rodat, sceneggiatore premio Oscar per Salvate il soldato Ryan, con il supporto del commodoro David Russel, l’inglese che in fase finale guidò l’ultima missione di salvataggio, ha scritto il film sulla base del libro A Time to Die: The Untold Story of The Kursk Tragedy, del giornalista Robert Moore. Da qui la pellicola ha preso forma quando “Matthias Schoenaerts mi ha fatto leggere la sceneggiatura, che mi ha emozionato perché ho riconosciuto temi del mio cinema: famiglia, indignazione politica, amore, perdita”, ha detto Thomas Vinterberg, che ha accompagnato alla Festa di Roma il film, interpretato anche da Colin Firth, prodotto da Luc Besson, e distribuito da Videa

Vinterberg, cosa l’ha colpita in questa vicenda a tal punto da farne un film?

Il processo che vivo sempre è quello di rifiutare ciò che non ho scritto io, ma se questa storia ritorna… qualcosa significa. Così è successo. 

Quali sono le differenze tra la realtà dei fatti e le necessità di drammatizzazione? 

Questo film è una mediazione tra finzione e realtà storica, in parte rimasta segreta sul fondo del mare. Sappiamo qualcosa, ma non tutto. Il vero David Russel era accanto a noi, ma d’altra parte avevamo a che fare con il cinema di finzione e la situazione del bambino e della moglie (del personaggio di Schoenaerts) è fiction, per esempio, anche se è stata veramente trovata una lettera di uno degli uomini dell’equipaggio, ma nella realtà quell’uomo non aveva una famiglia.  

Quanta responsabilità ha sentito nel ricostruire le figure dei marinai rimasti intrappolati?

La più grande delle responsabilità. Abbiamo fatto di tutto per rendere onore alle famiglie. Ma non abbiamo portato sullo schermo le loro biografie: con la creazione di nomi di finzione non era più la loro storia privata, ma una storia offerta al mondo. Mi sono chiesto se dovessi contattare le persone, cosa che non ho fatto, e ho ancora dei dubbi sulla scelta. 

L’hanno contattata le famiglie?

Non sono stato in contatto con le famiglie. Il film ha una distribuzione russa e sono molto curioso di vedere come reagiranno.  

La famiglia è uno dei temi del suo cinema. 

Sono sempre stato attratto dai rituali, dalla ricchezza e dalla claustrofobia della struttura familiare, forse perché sono cresciuto in una comunità hippy, per cui ho molto senso di comunità, il set stesso è una famiglia. 

E non è la prima volta che ricorre il punto di vista di un bambino, che aveva utilizzato già ne La comune

È la visione non corrotta sul mondo. In questo particolare caso sono stato colpito dalla mia rabbia per questa storia e il gesto finale del bambino, di non dare la mano all’anziano ufficiale russo presente alla commemorazione del padre, è la mia espressione di difesa strenua dell’umanità, avevo bisogno del bambino per affermare la purezza. 

Con Kursk si ragiona anche sulle questioni di Stato, infatti.

C’è sempre una scelta: salvare 23 uomini o salvare i segreti della Marina? Una decisione cruciale. Usuale in Occidente sarebbe ‘salvare un uomo prima di tutto’, ma credo che in Russia la prospettiva sia differente: credo sia stata una scelta difficile per loro, ma penso comunque che simili brutalità avvengano in ogni luogo. 

Come mai manca nel film la figura di Putin, che nella realtà quasi perse la presidenza? 

Si è trattato solo di una decisione artistica, non volevo si trasformasse in un atto d’accusa. Non abbiamo avuto intimidazioni militari: stronzate! Lui era al potere da cento giorni: ho pensato fosse più utile e nobile cambiare nomi ai personaggi, e poi non volevo essere l’ennesimo regista che porta il presidente sullo schermo. 

Protagonista intenso e struggente, potente, è Matthias Schoenaerts, con lui anche Léa Seydoux: come è stato lavorare con un cast così variegato?

Matthias mi ha offerto il film, poi ho deciso di circondarlo di creature che parlavano lingue simili. Quindi tutto il cast viene dall’Europa centrale. 

E Colin Firth

È una parte stupenda la sua e ho scelto lui perché da anni si cercava di lavorare insieme: lui è una miscela fantastica di umiltà, talento, fama. Un sogno lavorarci, in fondo è l’eroe del film. Lo sceglierei per qualunque ruolo. 

Dogma 95, a cui lei è appartenuto, ha ancora risonanza in lei. C’è in qualche modo nel film? 

Siamo lontani da lì. All’epoca cercavamo la verità nel cinema, di renderlo nudo, trovando l’essenza. È diventato di moda quel cinema lì e così non era più nudo ma vestito in ghingheri, per questo l’ho lasciato. Io comunque perseguo sempre lo stesso ideale di bellezza umana, come allora. 

Ci sono cinematografie o film a cui s’è ispirato?

L’ispirazione arriva da vecchi film, poi da Il cacciatore, e da alcune vecchie storie di Lynch. Fellini ha ispirato il mio cinema, ma non qui. 

Kursk, un film perennemente in bilico sulla sottilissima – ma drastica – linea di confine che determina il “sopra” e il “sotto” del mare, due universi che qui vivono in autonomia e in contatto al tempo stesso ma, come in una “guerra dei mondi”, uno dei due ha la meglio e, in questa storia vera, la meglio l’ha avuta il “mondo sopra”, anche se la più parte della storia, e di certo della vita umana, è rimasta “sotto” per sempre, un sotto non solo fisico, inteso come fondo del mare, ma anche metaforico perché rappresenta tutto ciò che rimane ancora segreto di Stato, taciuto dalla politica e dalla Marina russa.

Kursk, non solo uno spaccato sulla Storia recente, ma anche un bell’esercizio di suggestione visiva: grande emozione da tutte le sequenze sott’acqua, dalle esplosioni all’inondazione delle sezioni del sottomarino, alle immagini in cui, squarciato, il Kursk “dorme” sulla sabbia, immobile, mentre sopra pesa il silenzio, non solo del mare. 

Nicole Bianchi
21 Ottobre 2018

Roma 2018

Roma 2018

Shirin Neshat: “Sul confine tra Oriente e Occidente”

Shirin Neshat, esponente dell’arte visiva contemporanea, iraniana naturalizzata newyorkese, ha presentato alla Festa di Roma, nell’ambito del progetto Videocittà, il suo ultimo film: Looking For Oum Kulthum, un ennesimo incontro tra Oriente e Occidente, tra ritratto e autoritratto, con protagonista una donna, un’artista, una leggenda musicale egiziana

Roma 2018

Alice nella città: vincono “Jellyfish” e “Ben is Back”

Miglior film Jellyfish di James Gardner, una storia d'identità e desiderio di fuga; premio speciale della giuria Ben is Back di Peter Hedges con Julia Roberts e Lucas Hedges; miglior attore Thomas Blanchard per The Elephant and the Butterfly di Amelie Van Elmbt

Roma 2018

De Angelis: “Il mio film è un regalo a chi lo guarda”

"Questo film contiene un desiderio - ha detto De Angelis commentando il premio vinto alla Festa di Roma - ed è il desiderio di fare un regalo a chi lo guarda"

Roma 2018

Il colpo del cane per Fulvio Risuleo

Il colpo del cane di Fulvio Risuleo, prodotto da TIMVISION Production e Revok Film, è stato annunciato ad Alice nella città. Nel cast Edoardo Pesce, Silvia d’Amico e Daphne Scoccia, oltre a una partecipazione di Anna Bonaiuto


Ultimi aggiornamenti