Wiseman, una carriera da Leone con i documentari “vissuti come avventure”

Il cineasta 84enne ha appena finito di girare "Jackson Heights" nel Queens


VENEZIA – “Io sono un attore, lui è un regista e siamo grandi amici, ma non mi ha mai proposto di fare un film: è una vergogna!”. E’ pieno di affetto, ammirazione, ma anche ironia l’omaggio reso da Michel Piccoli all’amico Frederick Wiseman, il grandioso documentarista americano a cui ha consegnato oggi in Sala Grande il Leone d’Oro alla Carriera della Mostra di Venezia, abbattendo così ogni steccato tra il cinema del reale e quello di finzione. Un percorso professionale fatto di oltre 40 film in quasi 50 anni di carriera, dal primo, censurato e osteggiato per anni, Titicut Follies, girato in un ospedale psichiatrico statunitense, all’ultimo, National Gallery, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes.

Ottantaquattrenne che “non smette di viaggiare per il mondo, uomo che amo e ammiro”, secondo il suo illustre amico francese, Wiseman ha scelto le sequenze iniziali di Boxing Gym per introdurre la consegna del riconoscimento a una vita creativa dedicata “a esplorare la geografia umana con sguardo lucido, analitico, ma anche ironico e fantasioso”, come ha detto il direttore Alberto Barbera. “Girare ogni film è per me sempre un’avventura”, dice commosso il cineasta, che ha da poco terminato le riprese di Jackson Heights, “ambientato in un quartiere del distretto del Queens, a New York, in cui in 40 edifici sono parlate 160 lingue. E’ come ritrovarsi alla fine del XIX secolo – ha spiegato Wiseman – c’è gente di tutto il mondo che si ritrova in una nuova realtà e deve imparare a viverci. E’ la nuova generazione di migranti, il nuovo volto dell’America anche se, Obama a parte, non è stato ancora riconosciuto”. Dice di cercare di fare film in cui fornisce informazioni e, soprattutto, “che riflettono l’ambiguità del mondo”.

Vincitore del primo Leone d’Oro alla Carriera assegnato a un documentarista, Wiseman sostiene che “non c’è motivo per cui un documentario non possa essere allegro, triste o tragico come un film o un romanzo. Ho sempre cercato di fare film con una struttua drammatica: il mio modello è la fiction letteraria”. Nel corso della sua lunga carriera ha posato lo sguardo su “modelle, ballerini, delinquenti, soldati, ogni tipologia di persona e quando ho girato Near Death tra i malati terminali sono andata a salutare l’addetto della camera mortuaria, che mi ha detto ‘ci vediamo presto’. Ecco, ora lo dico anche a voi”, ha chiosato ironico il regista.

Michela Greco
29 Agosto 2014

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