Morte a Venezia?

"Non possiamo permetterci due grandi festival internazionali in Italia". E' la provocazione lanciata da Francesca Cima al dibattito post-Venezia organizzato dal Sncci


“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema, coordinato dal presidente dei critici Franco Montini A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all’Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori che al Lido hanno trovato, specialmente in questa edizione, un ottimo trampolino.

Ma per la produttrice di Paolo Sorrentino (in lavorazione c’è Youth con Michael Caine) e ora anche di Gabriele Salvatores (molto atteso Il ragazzo invisibile mentre sabato va in onda su Raitre Italy in a Day) le prospettive non sono rosee: “Io vado alla Mostra da quando ero ragazza, sulle sedie di legno del cinema Astra ho avuto le mie visioni migliori. Ora però ho la percezione di un festival elitario e questo credo che rifletta la condizione del mercato, con la sua struttura monopolistica e l’assenza di player che lo rendano vitale. Il prossimo anno ci sarà l’Expo a Milano, un grande strumento di promozione dell’industria italiana: ma il cinema per il momento non è lì, non c’è una regia. Rischiamo di avere un presenza molto forte a Cannes 2015 ma di scomparire dall’Expo”.

Sostanzialmente d’accordo con lei anche Antonio Medici della BIM. “C’è un problema di identità. Cannes è una macchina da guerra, Toronto coinvolge tutta la città, Berlino è un festival per il pubblico. E noi? E poi l’Italia in crisi economica come si può permettere di avere due grandi festival che la Francia o la Germania non hanno?”. Assente il direttore Alberto Barbera, impegnato a Torino con il Museo del cinema in occasione del summit dei ministri europei della cultura, non c’è chi possa controbattere al diffuso sentimento di scoramento. Ben sintetizzato da Giorgio Gosetti. Il delegato delle Giornate degli Autori ha definito il festival autoreferenziale, un’isola più o meno felice scollegata dal pubblico. “L’angoscia sul futuro nasce non dalla qualità artistica dei  film e delle scelte di Alberto Barbera, che forse è il migliore di noi, ma da come la Mostra riesce a restituirsi all’esterno, e questo benché il sistema dei media sia molto compatto a sostenere Venezia. In fondo, abbiamo la Mostra che ci meritiamo come Italia. La deflazione di cui parla Draghi è un problema anche lì. La struttura del programma è identica a quella del 1934, sarebbe ora di trovare nuove idee. Non ci serve essere Cannes in minore o Locarno in maggiore”.

Andrea Occhipinti, che con la sua Lucky Red distribuirà il Leone d’oro Un piccione seduto su un ramo di Roy Andersson e il vincitore delle Giornate degli Autori Ritorno all’Avana di Laurent Cantet, ritiene che l’immagine di Venezia sia più forte della sua realtà. “La Mostra langue sempre di più. Andrebbe tutto svecchiato. Invece intanto è nato il festival di Roma, basato su un presupposto assurdo, quello di far fuori Venezia. Nel frattempo Toronto ogni anno cresce, lì c’è sempre più gente, addirittura per noi operatori sta diventando dispersiva, mentre al Lido si notano sempre più spesso le assenze”. Eppure Venezia continua ad esercitare un ruolo importante anche per l’industria: “Al festival prosegue Occhipinti – si deve il posizionamento internazionale di Birdman, mentre Roy Andersson, se non avesse vinto il Leone d’oro, non sarebbe stato distribuito in Italia. Così per il bel documentario di Joshua Oppenheimer, The Look of Silence, che però è subito sparito dalle sale”. Interviene su questo (altro tema caldo del dibattito) Mimmo Dinoia della Fice: “Fuori dal festival è più difficile trovare un pubblico per il film d’autore, come dimostra il caso di Oppenheimer. Le sale che programmano cinema di qualità si stanno chiedendo cosa succede. Non è vero che i film d’autore non vanno nelle sale perché non ci sono schermi. È un tema su cui ci interrogheremo anche alle Giornate di Mantova”.

Cambiando la prospettiva cambiano i punti di vista. Ivano De Matteo non condivide le preoccupazioni di Gosetti e ritiene anzi che senza Venezia I nostri ragazzi non avrebbe mai incontrato il suo pubblico. “Se non fossi andato alle Giornate degli Autori il mio film sarebbe uscito il 27 agosto, come mi avevano proposto, e sarebbe finito nella spazzatura. Ho raddoppiato gli spettatori rispetto al precedente Gli equilibristi. Certo, il passaparola è l’unico modo per diffonderlo e anche per questo continuo ad accompagnare il film in provincia. In Francia, dove I nostri ragazzi uscirà a novembre, le pellicole non vengono rottamate dopo due settimane, ma continuano a vivere a lungo in sala”. Positivo il giudizio di Costanza Quatriglio e Giovanni Piperno, due degli autori di 9×10 novanta, il film collettivo per i novant’anni del Luce, entrambi interessati soprattutto al cinema del reale. “Il nostro paese è sempre in ritardo – riflette la regista siciliana – sono dieci anni che si fanno ottimi documentari, ma l’attenzione è arrivata solo ora”. Anche Francesco Munzi e Saverio Costanzo fanno un bilancio positivo. “Tengo molto a Venezia – esordisce l’autore di Anime nere – e per me è ancora totalmente virtuoso. Il mio film non sarebbe esistito senza la Mostra e ora ha la terza media copia al botteghino. È fondamentale difendere il prestigio che ha il festival”. Per il regista di Hungry Hearts, vincitore di una doppia Coppa Volpi, “il nostro era un piccolo film, se non ci fosse stata Venezia non ci sarebbe stato un riscontro pubblico. Non c’è altra strada per film così. E se al Lido non c’è il mercato, si recupera a Toronto. Per me Venezia più Toronto uguale Cannes”. La vede diversamente Giorgio Gosetti: “È il festival di Toronto e non quello di Roma che vuole uccidere Venezia. Quest’anno ha preso tutti i film italiani della Mostra, ma solo per l’alta qualità della proposta, perché in genere applicano un aut aut. Se vai a Venezia non ti prendo a Toronto”. Infine, pensando al futuro, emerge forte la necessità di riportare il pubblico dei giovani al Lido. Ne parla ad esempio Francesco Di Pace, delegato generale della Settimana della critica. “Cosa dà alle nuove generazioni il cinema d’autore? Venezia sta diventando un luogo di nessuno, se non si inverte questa tendenza”.

Cristiana Paternò
26 Settembre 2014

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