Cuore di mamma, giapponese

In Last Summer, dell'esordiente Leonardo Guerra Seràgnoli, una giovane donna giapponese, interpretata da Rinko Kikuchi, ha quattro giorni per dire addio al piccolo figlio di cui ha perso la custodia


ROMA. Una lussuosa barca a vela che batte bandiera inglese, un equipaggio di quattro persone che controlla gli spostamenti di un bambino dai caratteri orientali, figlio del ricco proprietario dell’imbarcazione, e soprattutto la madre, una giovane donna giapponese, che ha perso la custodia del figlio. Naomi, sorvegliata a vista, è ospite della barca per pochi giorni durante i quali riallaccia un rapporto con il piccolo Ken prima di essere obbligata a una lunga separazione di anni. I gesti, le parole, la relazione tra Naomi e Ken, sono il centro narrativo di Last Summer, esordio di Leonardo Guerra Seràgnoli, presentato a Prospettive Italia e dal 30 ottobre in sala con Bolero Film.

Last Summer non spiega, non fornisce elementi su quel che è accaduto in passato alla madre e al figlio, perché superfluo a una narrazione essenziale. Anche l’ambientazione scelta, il mare aperto, ci dice che la nostra attenzione deve rivolgersi solo a quel che accade tra queste due persone, unite da un profondo e intenso legame.
Non a caso il regista fin da adolescente è stato attratto dalle storie che vedono protagonisti madre e figlio: “E’ il loro un rapporto primario, una relazione che ha conseguenze sulla vita, ne è il punto di partenza. Un tema nello stesso tempo forte e universale”. Naomi – Rinko Kikuchi (nomination agli Oscar con Babel) – riprende per breve tempo questo rapporto, comunicando al bambino la propria identità, cultura e tradizioni, una sorta di passaggio di testimone nel momento del distacco, del lungo addio.
“La separazione da una persona o da un paese che si ama porta dolore ma è anche l’inizio di qualcosa d’altro, una crescita”. Solo in un secondo tempo è riemerso nella memoria dell’autore un ricordo di una quindicina d’anni fa: una donna ospite  a cena dai genitori del cineasta che, piangendo, confidava che il marito le stava portando via i figli.

Perché il Giappone? Il regista è cresciuto circondato dal mondo giapponese grazie al padre e per il personaggio di Naomi ha avuto la collaborazione della famosa scrittrice Banana Yoshimoto. Grazie poi alla produttrice Elda Ferri è entrato in rapporto con il fumettista Igort che peraltro ha vissuto in Giappone e ha lavorato con editori del Sol Levante.
“Avere Igort accanto in fase di  sceneggiatura mi ha donato l’essenzialità, sfrondando il film da divagazioni e arrivando al centro della vicenda umana”.
Dal punto di vista drammaturgico è stata una scelta molto forte quella di ambientare tutta la storia in mezzo al mare, di fronte a Otranto, su una barca, peraltro progettata dall’architetto Odile Decq autrice del Macro di Roma. “E’ un’isola in movimento, un luogo metafisico – spiega Igort- dai giapponesi ho imparato a cercare il ‘kokoro’, quel cuore spirituale e raccontare così una storia universale che è di abbandono, ma anche di difficoltà sia di mantenere la propria identità lontano dal proprio paese sia di amalgamarsi con una cultura diversa”. E quella maschera finale? “Rimanda al dio dei mari giapponesi”.

Il film ha richiesto tre settimane e mezzo di riprese. “Sulla barca non c’era nessun posto dove starsene soli, cast e troupe stavano insieme – dice ironica l’attrice giapponese Rinko Kikuchi – era come una prigione, situazione un po’ claustrofobica ma perfetta per il ruolo che stavo interpretando, quello di una madre che vive l’abbandono di un figlio, un dolore certo più forte rispetto alla separazione da un partner, da un marito”.

La difficoltà più grande incontrata in questo esordio nel lungometraggio è stata quella di evitare di realizzare un film sentimentale: “Tutto si doveva tenere in modo sottile, la storia non doveva oltrepassare certi limiti e tuttavia far emergere il vero sentimento”, confessa il regista. Tra i suoi progetti futuri c’è una storia sul narcisismo e poi l’intenzione di dare vita a una trilogia sul tema famiglia/separazione affrontato nel prossimo film da tre diversi punti di vista: padre, madre e un figlio cresciuto a Londra.

Stefano Stefanutto Rosa
17 Ottobre 2014

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