Phoenix, la donna che visse due volte

Ci sono molti spunti hitchcockiani nel thriller di Christian Petzold, Phoenix, al Festival di Roma. Ambientato a Berlino nel 1945 e interpretato da Nina Hoss, affronta il tema del post Olocausto


Al chirurgo che le chiede a quale attrice vuole assomigliare dopo l’intervento di chirurgia plastica, Nelly risponde “a me stessa”. Uscita dal lager con il volto sfigurato da un colpo di pistola, la giovane donna è sola al mondo, tutti i suoi cari sono morti ad Auschwitz. Accanto a sé c’è l’amica Lene, funzionaria dell’Agenzia ebraica che cerca di convincerla a trasferirsi a Tel Aviv con l’ingente patrimonio ereditato, ma lei ha una sola ossessione, ritrovare suo marito, l’uomo che ama e che forse l’ha tradita.

Nelly è decisamente una donna che visse due volte e i parallelismi hitchcockiani sono molti nel thriller di Christian Petzold, Phoenix, al Festival di Roma nella sezione Gala. Il regista tedesco – Orso d’Argento alla Berlinale con La scelta di Barbara, sempre interpretato da Nina Hoss, la sua attrice feticcio -non fa mistero della sua venerazione per La donna che visse due volte (1958): “Vertigo è il mio film preferito, ma lo amo e lo odio allo stesso tempo. Mi ossessiona da quando ero studente negli anni ’70. Parla dell’impotenza del maschio, impotenza che viene risolta solo dalla morte, dalla sparizione della donna”. Ma il film, che uscirà nei primi mesi del 2015 con la Bim, parla anche dei sensi di colpa dei sopravvissuti e dell’identità da ricostruire della Germania divisa (un tema che percorre tutto il cinema di Petzold). Nelly è un’ebrea che non vuole essere tale, che si sente assimilata e internazionale, che da Londra, dove era in tournée come cantante, è tornata a Berlino finendo ad Auschwitz, ma che dalla Berlino bombardata e in macerie del 1945, non vuole partire per la terra promessa. Suo marito Johnny (Ronald Zehrfeld) l’ha tradita? O piuttosto: l’ha mai amata? Come mai non la riconosce, ora che è tornata, e anzi le propone di fingersi sua moglie per mettere le mani sul patrimonio della defunta?

Molta ambiguità circola tra i personaggi di Phoenix. E una sottile corrente erotica. “Ci siamo concentrati sugli sguardi dei due protagonisti, sguardi che si attirano e si respingono – dice ancora Petzold – è incredibile come i due attori abbiano potuto sostenere questo per giorni e giorni”. Tra le fonti del suo lavoro Un esperimento d’amore di Alexander Kluge, “una vicenda ambientata ad Auschwitz, dove i nazisti spiano una coppia di ebrei, un tempo innamorati, vogliono che loro facciano l’amore, ma non c’è niente che li convinca. Il fallimento dei medici nazisti è una vittoria dell’amore, un amore perduto che non accetta di farsi comandare da quei criminali”. Al regista interessa capire se nel baratro di nichilismo scavato dal nazismo si possano ricostruire le emozioni, l’empatia, la vita. Ma Petzold ha studiato anche i documenti dell’Agenzia ebraica dove anche Hannah Arendt aveva operato. “Molti ebrei dell’Agenzia non ce l’hanno fatta, si sono suicidati perché non reggevano lo stress e non sopportavano di essere vivi”. Così il personaggio di Lene che vive quasi una storia d’amore con Nelly.  

E’ difficile nel dopoguerra anche solo parlare del “dopo”. “Mi torna in mente una citazione, ancora di Alexander Kluge – spiega il regista – Ulisse ci ha messo dieci anni a reintregrarsi nella società, perché dopo Troia non poteva tornare diritto a casa come se niente fosse. Nel 1945 però nessuno ha vissuto la sua Odissea, perché ‘casa’ non esisteva più. In Germania i centri di accoglienza per sfollati sono rimasti aperti fino al 1958”. Come ci si sente appena usciti da un incubo si chiede Nina Hoss: ”A me interessava soprattutto questo: quali sono le condizioni di Nelly quando la incontriamo? È una donna che è arrivata a un passo dalla follia? Nel campo è stata deumanizzata, come farà a ritrovare tutto quello che la rende ancora umana? Nelly si aggrappa disperatamente alla speranza che Johnny possa riconoscerla. Quel giorno saprà di essere ancora viva. Quando sei stata annientata fisicamente e psicologicamente è normale non sapere più chi sei. È stata questa la sfida più difficile: calarsi nei panni di una donna che deve ritrovare se stessa”.

Nelly non riesce più a cantare ma riascolta Speak low, la canzone scritta da Kurt Weill per il musical One Touch of Venus, un motivo che nel film ha un ruolo fondamentale. “Esprime la nostalgia, l’amore, il ricordo, che sono le uniche cose che si possono salvare dopo il ‘45 e sono le cose che Nelly porta con sé”. Regista ipercinefilo, Petzold ha “imposto” agli attori e al direttore della fotografia la visione di una serie di film del passato, da Le catene della colpa di Jacques Tourneur  a Partie de campagne di Jean Renoir e Der Verlorene di Peter Lorre. “Ma soprattutto mi ha influenzato un breve film di Sam Fuller German Girl 1945 in cui si vede una strada e una ragazza di sedici anni con un pantalone militare e una camicia strappata che ci corre incontro. È stata violentata da un gruppo di persone ed è incredibile quello che esprime con la sua faccia. Credo che l’abbia visto David Lynch per l’inizio di Twin Peaks”.

Cristiana Paternò
22 Ottobre 2014

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