Lucherini, il pettegolezzo come arte

Al Festival di Roma il documentario di Marco Spagnoli Ne ho fatte di tutti i colori dedicato alla carriera del re dei press agent italiani


La cosa che racconta di più su Enrico Lucherini sono i ciak “scartati” che si vedono sui titoli di coda. Il suo spirito caustico, la perfidia e l’ironia contro tutti, anche verso se stesso, è proprio lì, in quelle battute fulminanti dette con la voce un po’ stridula che, come fa notare Piero Chiambretti, ha i tempi comici giusti. Ne ho fatte di tutti i colori di Marco Spagnoli (che prosegue la sua collezione di ritratti di cinema, dopo Giovanna Cau e Giuliano Montaldo) è al Festival di Roma, ulteriore tappa di una serie di omaggi al press agent per eccellenza ormai ritirato (ma si fa per dire) dalle scene. Dopo la mostra per i 50 anni di carriera all’Ara Pacis, ci voleva un documentario per cogliere dal vivo la verve del re degli uffici stampa di spettacolo, 82 anni e molta nostalgia per uno show business che non esiste più, dove era possibile “inventare” personaggi e notizie (letteralmente). Lui li ha incrociati tutti, persino Giulio Andreotti in un programma tv, Bontà loro, condotto da Maurizio Costanzo. Quando consigliò al Divo di svecchiare la sua immagine con una giacca a quadri e un flirt con Tina Anselmi, il presidente del Consiglio non potè che sbottare: “Oh, Gesù!”. 

Amato ma soprattutto temuto. Tocca a Carlo Verdone raccontare l’aneddoto del loro primo incontro. A teatro. All’attore romano, ancora alle prime armi, tremavano le gambe perché aveva davanti, seduto in platea, l’inflessibile press agent, immobile come una statua per tutto lo spettacolo, mai neppure una risata, e alla fine un applauso in piedi che poteva suonare quasi come una presa in giro. Eppure il giovane Enrico aveva iniziato proprio come attore, per mettere a frutto una passione nata sui banchi di scuola e affidata al famoso diario in cui, a 17 anni, annotava le uscite in sala, ritagliando e colorando le locandine. “Ero un cane, bisogna ammetterlo, anche se posso raccontare di aver lavorato anche con Franca Valeri e con Totò“. Poi, come dice Tornatore, “inventò se stesso” e un mestiere che in Italia non esisteva. Era il 1959 e da allora ha incontrato un po’ tutti, giornalisti, attori, registi, senza fare troppe distinzioni tra bravi e meno bravi, ma sempre con il gusto di promuovere e amplificare pregi e difetti, di creare stelline dal nulla o mettere al servizio di grandi star la sua creatività dissacrante, il pettegolezzo elevato ad arte. Nel film ci sono molti dei suoi clienti illustri – Paolo Virzì, i Vanzina, Gabriel Garko, Leonardo Pieraccioni, Ettore Scola – ma soprattutto c’è un brivido di Dolce vita perché più si va indietro nel tempo più si entra nel territorio del mito: Luchino Visconti, Sofia Loren, Goffredo Lombardo, Claudia Cardinale, Alain Delon.

Nella casa dei Parioli, seduto in cucina o stravaccato sul lettone da cui vede film in tv magari in compagnia di Irene Ghergo, oppure nella mitica stanza 135 dell’Excelsior di Venezia, Lucherini è sempre sul pezzo. Ed è ancora Tornatore a cogliere il segreto del suo metodo inimitabile (tanto da aver dato vita al neologismo “lucherinata”): “Enrico ha capito che le star non andavano protette a tutti i costi, ma che anzi il ‘non proteggere’ poteva aiutare il film”. E quindi ha cominciato a buttarle allo sbaraglio. Come quando Sylva Koscina giaceva in un’auto incidentata. Inutile dire che non chiamò l’ambulanza, ma i fotografi.

Prodotto dalla Polifemo in associazione con Maremosso, Kobalt in collaborazione con Campari e Sky Arte, Ne ho fatte di tutti i colori uscirà nei cinema del circuito The Space il 28 e il 29 ottobre e andrà in onda in esclusiva su SKY ARTE venerdi 31 ottobre alle ore 21.  

Cristiana Paternò
23 Ottobre 2014

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