Franceschini: “Servono regole globali”

"Stiamo lavorando per accelerare una proposta condivisa di adeguamento della Direttiva sui servizi media-audiovisivi", ha annunciato il ministro dei Beni culturali e del Turismo


Per l’audiovisivo serve una politica di sostegno pubblico che lasci tutte le peculiarità dell’ambito nazionale, ma che il più possibile sia omogenea nella dimensione europea. Proprio per questo stiamo lavorando per accelerare una proposta condivisa di adeguamento della Direttiva sui servizi media-audiovisivi. Lo ha affermato il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, concludendo i lavori della Conferenza internazionale Audiovisual market and regulation-An industry at a crossroad, organizzata al Festival internazionale del film di Roma dal Mibact-Dg Cinema in occasione della presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea. “Siamo appena all’inizio di due fenomeni come la globalizzazione e l’era digitale – ha spiegato Franceschini – le scelte dei singoli Stati e della comunità internazionale che faremo adesso saranno determinanti per il futuro. Scelte politiche o legislative nazionali di fronte a imprese globali rischiano di essere improduttive. Servono scelte globali come dimostrano il caso di Amazon rispetto all’editoria o quello di Booking rispetto al turismo”. Secondo il ministro “viviamo in una situazione abbastanza surreale, nella quale i livelli decisionali sono a livello sovranazionale, ma noi siamo privi degli strumenti legislativi per la dimensione in cui avvengono. Servono regole globali o a guidare i grandi processi di trasformazione saranno solo quelli che non hanno più il problema degli angusti limiti nazionali”. Per questo, ha aggiunto, “abbiamo nell’agenda del semestre l’obiettivo di affrontare temi importanti a cominciare dalla tutela del copyright nell’era digitale”.

Franceschini ha poi precisato che “quando parliamo di eccezione culturale non intendiamo misure protezionistiche nei confronti dei nostri artisti e delle nostre imprese. Ne parliamo perché è sbagliato affidare come criterio di valutazione per la cultura il riferimento del profitto o del successo economico, che valgono in altri settori del mercato. Mi pare, in questo senso, che siamo vicini ad un risultato comune, ma dobbiamo anche spiegarlo a interlocutori come i cinesi o gli americani”. Il ministro ritiene che “non ci sia consapevolezza di come gli investimenti nell’industria culturale, oltre ad essere un dovere, possano essere anche una risorsa di crescita e sviluppo occupazionale. Ognuno deve convincere il suo governo nazionale e le altre istituzioni europee, che vivono ancora le singole competenze in modo frammentato, e questo non va bene”. In Italia una parte del lavoro, ha detto, è “la valorizzazione del patrimonio culturale che ci hanno lasciato le generazioni precedenti, ad esempio il film heritage, e l’altra gli investimenti sul futuro. In questa era digitale se ci saranno le regole, la rete sarà il luogo migliore per valorizzarle. Dobbiamo renderlo un luogo dove vincano creatività, talento e qualità”. 

Cristiana Paternò
24 Ottobre 2014

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