Corpo a corpo con Jana, prostituta consapevole

Sarà in sala in primavera con Istituto Luce Cinecittà Qualcosa di noi di Wilma Labate, storia di uno strano cenacolo sulle colline bolognesi


TORINO – Uno strano cenacolo sulle colline bolognesi nasce attorno a Jana, prostituta consapevole. Ad ascoltarla e rispondere alle sue domande dodici giovani allievi di un corso di scrittura creativa. Accade nel documentario di Wilma Labate, Qualcosa di noi, a Torino in Diritti & Rovesci e in sala in primavera con Istituto Luce Cinecittà. Un film, prodotto da Simone Bachini, sulla mercificazione, del corpo e della creazione artistica, che parla anche di una generazione incerta e a corto di futuro, piena di difficoltà sentimentali. Un film che non esisterebbe senza Jana, sex worker 47enne dal fascino magnetico, un corpo-cinema pieno di tatuaggi che all’autrice di Signorina Effe ha fatto venire voglia di fare subito un altro film proprio su questi argomenti e magari con lei come interprete. Jana così si è scoperta attrice, anche se nel documentario dice di non aver mai recitato ma di essere stata se stessa. “Sto chiudendo questa parte della mia vita. Oggi, 25 novembre, è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e io metto il punto a un periodo di violenza su di me di cui porto tutte le ferite. Oggi sono libera anche grazie a questo film, sono uscita allo scoperto e potrò vedere chi dei miei mille amici di Facebook è veramente mio amico”. E sulla condizione dei lavoratori del sesso nella società chiede semplicemente di non ghettizzare, “non fate le red zone, il sex worker, maschio o femmina che sia, non va giudicato. Ci sono mamme che si prostituiscono per fare la spesa e ragazze che fanno le call girl per comprarsi la borsa firmata. Non bisogna pensare che sia una cosa sporca, io posso dirvi che la maggior parte dei clienti viene per parlare e molti in cerca di amore”.

E parlare, e far parlare, è l’arte, quasi maieutica, che Jana porta nel film. Gli allievi della scuola Bottega Finzioni trascorrono una settimana con lei in un casale a Sasso Marconi, in una casa che fu teatro di incontri d’amore a pagamento, e via via mettono da parte remore e timidezze, si lasciano andare. “Dopo un anno di lezioni teoriche che avevano provocato un certo torpore – spiega Wilma Labate – era necessario creare un set. Volevo che si misurassero con due elementi, il corpo e il denaro. Loro che si riempiono la bocca di slogan e si sentono tutti scrittori, hanno perso le proprie certezze a contatto con la vita di Jana, fatta di problemi concreti, mentre loro stanno in un limbo un po’ privilegiato”.

È stata Pia Covre, nota attivista per i diritti delle prostitute, a far incontrare Wilma e Jana. “È stato un incontro diretto, perché lei sa mettere a proprio agio le persone, in poche battute Jana ha dissipato i residui di un mio atteggiamento piccolo borghese magari inconscio. Grazie a lei ho potuto operare una piccola provocazione sugli allievi e metterli di fronte a uno stimolo forte”. Jana ha usato un’espressione che resta impressa nella memoria, il corpo azienda. E qui non mancano le affinità con certi aspetti del lavoro dell’attore. “E’ vero, nel gruppo c’è anche una ragazza attrice o aspirante tale, ora ha lavorato con Matteo Garrone. Lei è lì non a caso, perché non fa parte della scuola. Laura si è imbucata nel gruppo perché veniva da due anni di occupazione del Teatro Valle e alla fine porta lì alcuni di loro”. Di quella esperienza Wilma Labate pensa che “in due anni gli occupanti avrebbero dovuto produrre almeno una piccola avanguardia come quella di Leo De Berardinis e Perla Peragallo. Ma l’aspetto politico li ha distolti dal cuore artistico della loro lotta”. Infine sulla scelta del documentario. “C’è un motivo di costi, ma non basta a spiegare tutto. Oggi il confine tra documentario e cinema è sempre più labile. La realtà è talmente imprevedibile e bislacca che è più forte di qualsiasi fantasia”.

Cristiana Paternò
25 Novembre 2014

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