Yes we change


“Da Bush a Obama, dieci anni di America” questo il titolo dell’incontro promosso dalla Fondazione Italia USA alla Camera dei Deputati nella Sala del Mappamondo e moderato dal presidente della Fondazione Lucio D’Ubaldo. Ad accompagnarlo le immagini dei documentari United We Stand e Change di Matteo Barzini, il secondo distribuito Istituto Luce Cinecittà . “Opere come Change bene rappresentano uno dei cardini della nostra mission, cioè quello di sostenere i giovani autori e produttori – ricorda Luciano Sovena AD uscente della Società – e di promuovere quei documentari che affrontano l’attualità, spesso con materiali d’archivio, puntando alla comprensione storica del nostro presente”.

 

Il regista Matteo Barzini, discendente di una famiglia che molto ha dato al giornalismo, dice di essere stato influenzato dal libro ‘O America’ del nonno Luigi. “United We Stand l’ho girato nel 2003 al tempo della manifestazioni pacifiste contro Bush e l’intervento americano in Iraq. Da Chicago a Los Angeles in automobile per capire che cosa gli americani pensavano del terrorismo e della guerra contro Saddam”. E quello che emerge dalla tante voci raccolte è la polarizzazione fra i sostenitori della guerra contro il terrorismo dopo l11 settembre – “Ammazzatene più che potete” – e chi invece è indignato per la morte di tanti civili in nome del petrolio – “Abbiamo schiavizzato l’Iraq”.

 

Change è il documentario che Barzini ha realizzato cinque anni dopo, una sorta di sequel della precedente avventura Oltreoceano. Questa volta lo scenario è quello della grave crisi economica e Barzini registra la fine del Neo Conservatorismo e le ultime cinque settimane di campagna elettorale che vede la contesa tra McCain e Obama. Di nuovo un viaggio attraverso gli States che mostra un popolo americano multiforme: il concerto del rapper afroamericano a sostegno di Obama, il veterano paralizzato, le sostenitrici di Sarah Palin, la famiglia repubblicana che intona linno nazionale.

 

Ad aprire il dibattito è il giornalista Emilio Carelli, fondatore di Sky Tg24, che sottolinea le difficoltà che noi italiani, in quanto partner e alleati degli Usa, abbiamo avuto durante la presidenza Bush. “Non è stato facile in passato conciliare un Paese simbolo del mondo libero e della democrazia sia con le torture avvenute nel carcere di Abu Ghraib in Iraq e nella prigione di Guantanamo a Cuba, sia con l’assenza delle tanto annunciate armi di distruzione di massa negli arsenali iracheni”. L’ingresso di Obama nella Casa Bianca ha segnato per Carelli un fase nuova più semplice per il nostro Paese e per l’Europa. “Obama rappresenta un capo di Stato multilateralista come non accadeva da tempo, tante le aspettative che hanno accompagnato la sua elezione quattro anni fa. Ma ora che quel consenso è diminuito, mi domando: non è che Obama è arrivato troppo tardi?”.

 

Antonio Di Bella, direttore di RaiTre, vorrebbe un Atlantico più stretto perché c’è il pericolo di una divisione tra Europa e Stati Uniti, e l’attenzione di Obama verso la crisi economica europea e italiana è la conferma che c’è bisogno di vicinanza e che non possiamo solo essere spettatori nel confronto tra Pechino e Washington.

Ma sul prossimo voto presidenziale di novembre nessuno degli intervenuti si sbilancia, per ora resta da conoscere chi sarà lo sfidante repubblicano e poi comincerà il totelezioni. 

Stefano Stefanutto Rosa
24 Febbraio 2012

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