L’omaggio a Bava e i ricordi “da paura” del figlio Lamberto e di Argento

A mezzanotte la proiezione della versione restaurata di "6 donne per l'assassino" a 50 anni dal film


COURMAYEUR – Cento anni dopo la sua nascita a Sanremo e a cinquanta anni di distanza da 6 donne per l’assassino – che il Noir in Festival presenta a mezzanotte nella versione restaurata – Mario Bava e la gloriosa epoca in cui fioriva, grazie a lui, l’horror all’italiana, sono stati rievocati al Jardin de l’Ange dal figlio Lamberto con Dario Argento e Steve Della Casa. È quest’ultimo a ricordare subito come, “il periodo migliore del cinema italiano durò fino alla metà degli anni ’70, con i nostri film venduti in tutto il mondo. Esportavamo Fellini, Antonioni, Bertolucci, ma anche i film popolari. Il cinema gotico italiano derivò dal successo della Hammer, ma ebbe la capacità di superarla grazie a opere straordinarie dal punto di vista visivo, in cui il testo e i dialoghi erano meno importanti e interessanti”.

Lo conferma il figlio Lamberto Bava: “Le storie dei suoi film non sempre erano avvincenti, per papà erano più importanti la visione e la musica, mentre spesso i dialoghi erano pieni di banalità”. Mario Bava, ricorda il figlio, “aveva un gran gusto per il gioco e l’ironia, anche quando mostrava i delitti. E non era affatto moralista, anzi aveva una componente sadica”. Come è noto, il cinema dello stesso Dario Argento è stato molto influenzato dall’immaginario horror di Bava: “Siamo due famiglie molto legate – sottolinea Argento – e quando Lamberto è stato mio assistente in Inferno, la famiglia si è riunita sul set”. E dopo aver rivisto insieme la scena in cui Sacha Pitoeff viene divorato dai topi a Central Park, Lamberto Bava ricorda divertito i retroscena: “Sacha fu davvero morso dai topi, che gli mangiarono il lobo di un orecchio. E io, che ero meno schizzinoso degli altri, glieli tiravo addosso, tenendoli per la coda a mazzetti di cinque, ma lui non capiva nulla perché era ubriaco”.

Il ricordo si sposta poi sul clima di collaborazione e goliardia che, all’epoca, univa i cineasti d’autore e quelli popolari: “Fellini era amico di papà – ricorda Lamberto Bava – Stavamo preparavando Diabolik a Cinecittà mentre Federico preparava un film che poi non si fece, e si facevano scherzi a vicenda. Papà, ad esempio, faceva entrare di nascosto sul set di Fellini la Jaguar telecomandata, facendola correre tra i suoi piedi”. Quell’epoca d’oro per il cinema italiano, in cui la condivisione era la regola, diede dei frutti prelibati che ancor oggi restano punti fermi nell’immaginario di cineasti d’oltreoceano come Quentin Tarantino, Tim Burton e Joe Dante.

Michela Greco
12 Dicembre 2014

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