L’era Pierre Lescure al Festival di Cannes

Un intervento dell'amministratore delegato di Istituto Luce Cinecittà a proposito del contestato palmarès di questa edizione, la prima con la presidenza Lescure


Quest’anno sono stato al Festival di Cannes per la trentacinquesima volta. Più della metà delle edizioni del festival (68). L’ho vissuto da produttore e distributore e da qualche anno da una posizione di vertice del cinema pubblico.
Sulle decisioni delle giurie inutile soffermarci. Si può condividerle o meno ma pretendere di sapere come devono comportarsi è da ingenui. Dobbiamo essere soddisfatti che nell’edizione appena finita il cinema italiano e in generale l’industria audiovisiva si è presentata più compatta, con nuovi strumenti per la promozione e l’attrazione di investimenti e soprattutto con un’offerta di film pieni di talento e molto diversi tra loro. Segno di vitalità dei nostri registi sceneggiatori e attori e dell’industria (senza dimenticare il lavoro straordinario di costumisti, direttori della fotografia, scenografi…). 
La prova sta nell’andamento molto positivo delle vendite nei mercati stranieri. E poi ricordiamoci l’importante premio della Semaine de la Critique vinto dal corto Varicella di Fulvio Risuleo. Un buon auspicio per il futuro.
Vorrei però segnalare alcuni cambiamenti significativi nel DNA del Festival più importante del mondo. Il direttore Thierry Frémaux ha indubbiamente voluto una selezione italiana molto forte giocando su nomi ben conosciuti a Cannes e di indubbio valore. Non ha invitato in giuria un rappresentante del nostro paese e se questo può rispondere ad una logica di “equilibrio” sulla presenza nazionale al Festival, non può non balzare agli occhi la disparità di trattamento con i padroni di casa che con ben 5 film in concorso avevano una giurata forte come Sophie Marceau.
Ma non sono certo che la responsabilità ricada interamente su di lui. E’ stato il primo anno di presidenza di Pierre Lescure, succeduto a Gilles Jacob che peraltro non è mai stato citato in alcuna cerimonia ufficiale (forse l’ha chiesto proprio lui per non enfatizzare l’uscita dopo quasi 40 anni di guida del Festival). Pierre Lescure, fondatore nel 1984 di Canal+, imprenditore di enorme successo, coproduttore per trent’anni di quasi tutti i film più importanti e non solo francesi, ha fortemente determinato alcuni aspetti di questa edizione del festival. Amico di molte star e dei più importanti produttori, attraverso il sistema di finanziamento al cinema instaurato da Canal+ è stato l’uomo più potente del cinema francese. Poteva iniziare questa nuova avventura senza dare un segnale forte verso il cinema nazionale?
Pierre Lescure non ha il tratto di uomo di mondo di Gilles Jacob. E’ un vero uomo d’affari, che ama il cinema (come sanno fare i francesi) ma non ne trascura gli aspetti industriali. Un primo sintomo l’abbiamo avuto nella conferenza stampa di presentazione del Festival. Ha parlato 40 minuti (molti dei quali dedicati agli sponsor, che certo sono i benvenuti) lasciando Thierry Frémaux (mattatore delle precedenti edizioni) silente ad ascoltarlo prima di dargli la parola. Clamorosa la presenza dei cinque titoli francesi in concorso due dei quali annunciati alla vigilia del Festival come se Frémaux avesse esitato fino all’ultimo ad includerli. Poco elegante (a mio giudizio) lo stop all’afflusso del pubblico in sala per dare spazio sul tappeto rosso a una sfilata di modelle in abiti da sera presentati da sponsor. Non estranea a questa filosofia la regia delle cerimonie di apertura e chiusura costellate di numeri (di ottima qualità ma non necessari) di intrattenimento (musica, balletti, installazioni multimediali).
Non voglio creare equivoci. Non sono queste le ragioni per cui i film italiani non hanno vinto. Né sto sospettando una qualsiasi forma di pressione verso la giuria (Nanni Moretti che ne è stato Presidente sa che ci sono regole ferree che nessuno può infrangere). Ma voglio semplicemente segnalare che Cannes sta diventando sotto la nuova Presidenza una pedina importantissima di strategia industriale in difesa del proprio cinema, che nulla nega all’attenzione per le altre cinematografie, ma che non rinuncerà in nessun modo a rafforzare la propria. Sarà interessante vedere come Frémaux, fondatore del Festival superautoriale di Lione, saprà arginare un percorso che rischia di diventare troppo franco-francais, inducendo forse alcuni autori a non puntare più solo su Cannes ma a prendere in considerazione altre vetrine ugualmente prestigiose anche se meno “glamour”.

Roberto Cicutto
25 Maggio 2015

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