Romeo e Giulietta tra i Rom

L'opera seconda di Massimo Coppola, presentata al Festival di Locarno fuori concorso, porta Shakespeare all'interno di un campo nomadi


LOCARNO – Cosa succede se un grande classico viene preso, ridotto all’osso e raccontato a qualcuno che non ne ha mai sentito parlare? Qualcuno che appartiene a un altro mondo e improvvisamente ne diventa parte per farne un film? La risposta la si scopre poco per volta, e volutamente in maniera non definitiva, nell’ultimo lavoro per il cinema di Massimo Coppola, Romeo e Giulietta, presentato fuori concorso alla sessantottesima edizione del Festival di Locarno, inaugurato da Dove eravamo rimasti? di Jonathan Demme con Meryl Streep. Il riferimento, come suggerisce il titolo, è chiaramente Shakespeare, che però il regista, come lui stesso dichiara, “stravolge e violenta” catapultando la vicenda dei Montecchi e dei Capuleti dalla quieta Verona del 1500 a un campo Rom di Tor de’ Cenci, vicino a Centocelle, tra roulotte polverose, falò e bambini urlanti.

“L’idea di questa particolare versione di Romeo e Giulietta mi è venuta per caso, un giorno, mentre camminavo vicino a un campo Rom. Sono entrato e ho iniziato a parlare con i tantissimi ragazzini che ho trovato al suo interno. Si è chiacchierato a lungo di cinema e sono rimasto colpito dall’entusiasmo con cui un ragazzo mi ha raccontato il suo film preferito: Romeo + Juliet, di Baz Luhrmann. Ho ripensato a quella pellicola, all’opera di Shakespeare e mi sono convinto che provare a scrivere una sceneggiatura che avesse per protagonisti quei ragazzi così lontani dalla nostra cultura sarebbe stato molto interessante”.

Un’esperienza davvero unica, anche per come si è conclusa: “Il film termina con un dialogo tra me e i protagonisti, io mi rivolgo a loro e dico: ragazzi avete fatto del cinema. Credo che il cinema oggi sia proprio questo: raccontare una storia di vita vera non nascondendo nessuna delle durezze che quotidianamente le persone devono sopportare, ma saper infondere in questo racconto la tensione di una storia che modifica radicalmente i personaggi. Ho girato cinque giorni in tutto, ho fatto un vero e proprio instant movie. Alla fine i ragazzi sono diversi da quando hanno iniziato, in questo senso abbiamo fatto del cinema. Ed è un’esperienza unica e irripetibile: talmente irripetibile che quei ragazzi non so più che fine abbiano fatto: il campo rom è stato smantellato e loro sono chissà dove”.

Ma ambientare Shakespeare in un campo rom è una scelta estrema: “Per certi versi sì, inutile negarlo. Ma è anche uno specchio del mondo in cui viviamo. Quando ho scelto i due protagonisti, ho scoperto che facevano parte di due famiglie diverse che non si amavano per niente, ho dovuto passare non poche difficoltà perché fossero proprio loro gli interpreti. E così mi sono reso conto che è veramente un tema eterno, proprio come a volte si dice con una certa retorica. Qui retorica non ce n’è, ma c’è una domanda: quanti altri Romeo e Giulietta sono presenti nelle situazioni più disparate, nella borghesia industriale del Nord, così come in certe zone degradate sparse in tutta Italia?”.

Massimo Coppola è un personaggio mediaticamente noto per la musica e la televisione. In questa impresa è stato solo?: “No, ho avuto intorno alcuni amici con i quali condivido tanti percorsi e tante idee. Ad esempio Valerio Mastandrea, uno dei miei amici più cari, che fa anche una piccola partecipazione al film. Oppure Nicola Giuliano e Francesca Cima della Indigo, che lo hanno prodotto così come anni fa avevano prodotto il mio esordio, Hai paura del buio. Con loro c’è un rapporto professionale intenso, una vicinanza profonda. Anche il mio prossimo lavoro ci vedrà insieme: stiamo preparando una fiction decisamente diversa da quelle che abitualmente si vedono in televisione”.  

Televisione che sarà però il mezzo con il quale la maggior parte delle persone potrà vedere  questa particolare versione di Romeo e Giulietta… “Sì, il documentario è stato acquistato da Raitre ed è andato in onda la sera del 5 agosto, proprio in coincidenza con la sua prima al festival di Locarno. E anche questo è un passaggio per me molto importante. Bisogna fare i film, essere coraggiosi negli argomenti e anche però preoccuparsi che la gente li possa vedere. In questo senso, la televisione può e deve aiutare il cinema, anche quello più programmaticamente indipendente”.

Caterina Taricano
06 Agosto 2015

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