Borsalino, il cappello che Redford amò e scoprì in ‘8½’

Borsalino City di Enrica Viola è la storia di capitalismo familiare e dello straordinario incontro di un capo d’abbigliamento con i volti famosi del cinema: Bogart, Gabin, Delon e Belmondo


TORINO. E’ in concorso per il Premio Cipputi al miglior film sul mondo del lavoro Borsalino City di Enrica Viola (Festa Mobile) che ripercorre la vicenda di un capo d’abbigliamento realizzato con maestria e passione nella provincia italiana del nord. Il cappello in feltro Borsalino, fabbricato ad Alessandria a partire dal 1857, è rappresentativo di quel made in Italy che s’afferma sul mercato internazionale grazie all’audacia e all’inventiva imprenditoriale di tre generazioni. Già nel 1900 la produzione totale ammontava a circa 750mila pezzi, di cui ben 450mila venivano esportati.
Un successo che si deve anche all’esperienza e alla dedizione professionale dei lavoratori le cui testimonianze, raccolte in occasione del centenario dell’azienda, sono state fatte rivivere, utilizzando dei meravigliosi ritratti fotografici d’archivio, dall’autrice: “Nei loro volti e nelle loro parole c’è tutta la dignità della classe lavoratrice e l’orgoglio del ‘saper fare’ ”.
Per più di centoventicinque anni una sola famiglia è stata a capo dell’impero fondato dal capostipite, Giuseppe Borsalino, che ironia non portava il cappello perché gli impediva di pensare. Gli succede Teresio Borsalino che guida l’azienda per tutto il primo quarantennio del ‘900, un’epoca d’oro che gli consentirà di realizzare per la città di Alessandria una serie di servizi sociali grazie a iniziative di assistenza e beneficenza.

Soprattutto la storia di Borsalino è quella dello straordinario incontro tra il sogno di un imprenditore partito dal nulla e il cinema, nell’epoca d’oro di Hollywood tutti ne indossavano uno. E sempre più diventa un’icona legata a volti famosi e popolari: Humphrey Bogart, Jean Gabin, Alain Delon, Jean Paul Belmondo, Marcello Mastroianni.
E proprio del Borsalino indossato dal grande attore italiano in s’innamora Robert Redford come ci racconta lui stesso nel film. “Dear Vittorio, you may remember me… my name is Robert Redford” così inizia la lettera che la star americana scrisse a un erede della famiglia Borsalino, per richiedere lo stesso cappello che già possedeva ma con una falda più larga. E l’attore e regista per non sbagliare andò di persona ad Alessandria, durante una vacanza tra Italia e Spagna con la famiglia, e trovò il cappello della misura e del colore, nero, che desiderava.

Dalle immagini del film si nota come da inizio del Novecento fino agli anni ’50 il cappello in generale sia indossato da quasi tutti gli uomini, perché “identifica lo stato sociale di chi l’indossa, è la sua carta d’identità” come sottolinea il costumista Piero Tosi. Nel giro di un decennio la produzione, che nel 1957 era di 950mila unità, si dimezza nel 1968 e anche il numero dei dipendenti della fabbrica, 500, si riduce della metà.
Da quel momento il cappello è abbandonato e più cause ne determinano la crisi. “Per gli eredi dell’azienda è colpa dell’automobile, prima con la bicicletta si usava il cappello ora in macchina non c’è bisogno di riparare la testa e inoltre è scomodo indossarlo in auto, al punto che venne ideato un modello ad hoc – spiega la regista – Per lo sceneggiatore Jean-Claude Carrière invece è colpa del cambiamento generazionale che lo rottama: il cappello è qualcosa di vecchio, dei padri contro i quali ci si ribella portando i capelli lunghi”.
Di fronte al mutare delle mode l’azienda tentò anche la strada, d’accordo con il ministero della sanità, di un cartoon con il quale si sosteneva che senza la protezione di un cappello ci sia ammala più facilmente.

“E’ stato difficile sia da scrivere, in particolare che cosa tenere dentro il film e che cosa lasciare fuori, sia documentare la prima fase imprenditoriale data la scarsità di immagini e materiali. E impegnativo è stato il raccordo tra la storia cittadina e il glamour internazionale. Per non parlare della difficoltà nel reperire materiali d’archivio e spezzoni di film, spesso dai costi insostenibili”, dice Enrica Viola. Decisivo dal punto di vista iconografico il contributo del ricco Archivio della Borsalino soprattutto, nonostante i danni subiti dall’ultima alluvione, con le bellissime affiche e prezioso si è rivelato anche il contributo dell’Archivio Luce. Così come importanti sono i contributi della costumista Deborah Nadoolman Landis e del direttore della fotografia Dante Spinotti.
Il film verrà distribuito da Luce Cinecittà, tra gennaio e febbraio, ed è prevista successivamente la messa in onda su un canale Rai, su Sky Arte e Arte France, oltre all’uscita in DVD.

Stefano Stefanutto Rosa
24 Novembre 2015

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