Giovannesi: “I miei fiori tra le sbarre”

Claudio Giovannesi torna a confrontarsi con la realtà con una love story adolescenziale dietro le sbarre, Fiore, accolta con calore dalla Quinzaine des Réalisateurs


CANNES – Claudio Giovannesi torna a confrontarsi con la realtà con una love story adolescenziale dietro le sbarre, Fiore, accolta con calore dalla Quinzaine des Réalisateurs. Dopo Alì ha gli occhi azzurri e Fratelli d’Italia prosegue a scandagliare realtà marginali dell’universo giovanile in una sorta di romanzo di formazione in più capitoli. In questo ad essere protagonista della vicenda c’è una ragazza (l’intensa Daphne Scoccia) di cui facciamo la conoscenza mentre minaccia una coetanea in metropolitana con un taglierino per portarle via l’iPhone. Dura, praticamente senza famiglia, eppure ancora infantile e pronta a innamorarsi, adora il padre Ascanio (Valerio Mastandrea) anche lui con una storia di galera – è in libertà vigilata – e che sta cercando di rifarsi una vita con una romena. Tanto da non accettare di prendere con sé la figlia per garantirle la libertà condizionale. Resta dunque in carcere, Daphne, e lì si innamora di Josh (Josciua Algeri), recluso anche lui, appena scaricato dalla ragazza che non se la sente di aspettarlo. Una storia proibita, fatta di bigliettini e sguardi da lontano, perché il regolamento non consente scambi tra maschi e femmine. 

Un film in presa diretta con la realtà, Fiore, che arriverà in sala con BIM dal 25 maggio a Roma e Milano, e dal 1° giugno nel resto d’Italia. Costruito attraverso un seminario di quattro mesi al minorile di Casal del Marmo, dove regista e sceneggiatori (Filippo Gravino e Antonella Lattanzi) hanno prestato servizio come insegnanti volontari. “Molto di quello che c’è nel film, circostanze e dialoghi, viene da quell’esperienza. Anche le tante assurde proibizioni a cui questi giovanissimi sono sottoposti, come quella che nega alle ragazze di poter usare il rossetto”, spiega Giovannesi.
“Il carcere non serve a niente – prosegue il regista, classe 1978 – se non a rinchiuderli: ci sono sbarre, celle di isolamento, si fanno tentativi di recupero con i laboratori ma è più che altro uno spreco di soldi pubblici. I minorenni sono colpevoli di fronte alla legge ma hanno l’innocenza degli adolescenti”.

Maschi e femmine non hanno diritto di comunicare, ma “più grande è l’ostacolo, più grande è l’amore come insegna Romeo e Giulietta. Sono stati gli stessi ragazzi a darci le loro lettere”. E anche i due giovani e convincenti protagonisti vengono da esperienze difficili. Josciua è stato detenuto e in carcere ha iniziato a fare teatro, ha 20 anni e una bambina di 8 mesi, ha appena riavuto il passaporto, Daphne (21 anni ma ne dimostra molti meno) è stata trovata per caso, cameriera in un ristorante di Monteverde. Per loro è stata un’ esperienza fortissima, in parte terapeutica. Oggi lei dice: “Mi sento un fiore che è sbocciato”.

Girato nel carcere non in funzione de L’Aquila, con guardie carcerarie vere (ma nel minorile non indossano la divisa) e qualche attore in alcuni ruoli come Aniello Arena, Laura Vasiliu, Francesca Riso e appunto Valerio Mastandrea (anche produttore associato insieme a IBC Movie e Rai Cinema). “Il padre di Daphne è un personaggio abbottonato e cementificato. Ma io non lo critico, i personaggi non vanno criticati mai, come Caligari insegna”, dice Mastandrea, che alla Quinzaine ha portato anche Fai bei sogni di Bellocchio. “L’ho scelto perché serviva un attore che avesse un livello di verità altissimo”, conclude Giovannesi.

Cristiana Paternò
17 Maggio 2016

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