Golino: “Unanimità? Quasi, ma è stato faticoso”

"Ci sono state lunghe discussioni, ma nessuna decisione è stata presa coi musi", dice l'attrice e regista italiana. Che definisce l'esperienza appena conclusa "faticosa e memorabile"


CANNES – Alla fine Valeria Golino, fuori onda, lo dice (quasi) chiaramente. C’è stata unanimità? “Piuttosto. Quasi sì”. E poi aggiunge: “Una giuria fa tanti errori, me ne sono resa conto quando sono stata giurata alla Mostra di Venezia. Più avanti rivedi certi film e ti chiedi: ma come abbiamo fatto a non premiarlo?! Per esempio il film di Jonathan Demme”. E poi: “Ci sono state lunghe discussioni, ma nessuna decisione è stata presa coi musi”, dice ancora l’attrice e regista italiana, che definisce l’esperienza appena conclusa “faticosa e memorabile”.

A caldo è abbastanza evidente che la giuria di Mr. Mad Max ha dovuto fare un bel po’ di compromessi. Due particolari rivelatori. Il doppio premio a The Salesman, il bel film di Asghar Farhadi che forse avrebbe meritato la Palma d’oro, e il premio per la regia ex aequo a due autori come Cristian Mungiu e Olivier Assayas, due idee di cinema diametralmente opposte: lunghi piani sequenza, osservazione della società e dilemmi morali per il primo, cinefilia spinta, astrazione filosofica e artificiosità assoluta per il secondo.

Ma la conferenza stampa della giuria comincia con una gag. Donald Sutherland appare col capo avvolto da una specie di chador. Sta prendendo in giro qualcuno? “No, ho avuto due volte di seguito la polmonite quest’anno, fa freddo, ecco perché ho un fazzoletto sulla testa”. E Mads Mikkelsen gli fa il verso indossando le cuffie per la traduzione come fossero un buffo cappellino.

Si parte subito con una domanda da far tremare i polsi. Nel dare la Palma d’oro a un film militante come quello di Ken Loach non vi siete sentiti colpevoli dell’opulenza in cui vivete a Cannes? Ma Miller non raccoglie la provocazione: “Il film è eccellente e risuona nell’anima ovunque voi siate”.

Non è sfuggita una strana coincidenza. Laszlo Nemes vinse l’anno scorso il Grand Prix per Il figlio di Saul. E chi c’era in giuria? Xavier Dolan, che il Grand Prix l’ha ricevuto quest’anno. “Sono stato molto toccato da Juste la fin du monde – risponde il regista ungherese, premio Oscar – è stata una grande esperienza. Tra l’altro è girato in 35 mm e si vede la differenza. E’ un film di grandi ambizioni, un viaggio cinematografico. Non l’ho certo sostenuto per ricambiare il favore. Tutti abbiamo capito lo sguardo particolare di questo regista, è uno che segue una strada personale e questo mi piace”

Interviene Mads Mikkelsen che evidentemente è in vena di scherzi. “Mi date sempre la parola per ultimo… Quello della giuria è stato un lavoro non proprio sanguinoso, ma certo appassionato”. E anche Sutherland parla di passione e rispetto, intendendo per “passione” grandi discussioni.

Si fanno notare le molte assenze dal palmarès, specialmente Toni Erdmann, in testa alle preferenze dei critici. “Con 21 film in concorso e solo 8 premi era inevitabile – risponde George Miller. Abbiamo lavorato con rigore e con vigore, abbiamo discusso sicuramente più di altre giurie e niente è stato taciuto. Però non abbiamo ascoltato i critici né letto le recensioni, abbiamo cercato di decidere da soli. Ora, come gli avvocati e i medici, dobbiamo rispettare il segreto professionale”.

Non è stato troppo esiguo il riconoscimento destinato alle registe, in un anno in cui non s’è parlato d’altro? “Ogni film è stato giudicato secondo le proprie qualità – dice ancora Miller – non abbiamo parlato del fatto che fosse diretto da una donna o da un uomo”. E Mikkelsen aggiunge: “La risposta a questa eterna domanda resterà identica negli anni. Ci sono tanti settori in cui bisogna impegnarsi per la parità tra i due sessi, ma in questo caso il sesso non c’entra niente”. Mentre Valeria Golino riconosce la forte presenza di personaggi femminili interessanti, “più che in altre occasioni abbiamo visto molti film con una donna protagonista. E ci sono state performance notevoli anche in opere che non ho amato particolarmente ma che comunque mi hanno lasciato qualcosa”.

Come mai avete preferito un’attrice filippina come Jaclyn Jose, molto conosciuta nel suo paese ma non all’estero, a candidate forti, da Sonia Braga a Isabelle Huppert? “La sua performance in Ma’ Rosa mi ha sciolto il cuore – risponde Arnaud Desplechin – il film è lei. Quando alla fine la vedi finalmente mangiare è straordinaria”. “Jaclyn è un’attrice meravigliosa”, conferma Mikkelsen.

Sul doppio premio a The Salesman, Miller invoca il regolamento. “Le regole sono cambiate nel corso degli anni, oggi si cerca di evitare un surplus di premi sullo stesso film. Forse è ingiusto ma è anche logico. Ricordo che quando sono stato in giuria l’altra volta, nel 1999, Rosetta vinse sia la Palma d’oro che il premio all’attrice. Oggi questo non sarebbe più possibile. Noi abbiamo preso una decisione collettiva esaminando tutte le varianti possibili, abbiamo considerato l’innovazione, la maestria del regista, i temi trattati, cercando soluzioni equilibrate. E’ stato faticoso, ma potevamo dare due premi a un solo film e la scelta è caduta su The Salesman. Siamo nove e ciascuno di noi ha una sua opinione personale, ci sono state discussioni sfiancanti”. 

E la conclusione tocca a Donald Sutherland, sempre col chador in testa: “Domani, quando sarò in aereo, avrò nostalgia dei film e degli altri giurati”. Ma chissà se dice sul serio. 

Cristiana Paternò
22 Maggio 2016

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