Strane Straniere: romanzo di formazione di immigrate di successo

Il documentario, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, racconta la storia di cinque donne arrivate in Italia da Paesi diversi avviando imprese di successo


Dopo Fuoristrada, Elisa Amoruso torna ad affrontare il tema dell’accettazione della diversità, con Strane Straniere, presentato ad Alice nella Città – Kino nella sezione Panorama Italia. Il documentario, distribuito da Istituto Luce Cinecittà, racconta la storia di Ana, Ljuba, Radi, Sihem e Sonia: cinque donne arrivate in Italia da Paesi diversi. Tutte si sono affrancate da un passato e da relazioni che le costringevano a limitare le proprie ambizioni. Tutte hanno avviato imprese di successo: Radi ha scoperto la passione del mare e ha creato una cooperativa di sole donne, la “Bio e mare”. Lo scorso anno le sue salse biologiche costruite sull’avanzo del pescato sono state protagoniste a Expo. Ana è croata, Ljuba è serba. Hanno aperto l’Atelier, una piccola galleria d’arte nel centro di Roma. Sonia è la proprietaria del ristorante cinese più conosciuto di Roma. Sihem e il suo compagno Ciro vivono in campagna e si occupano degli animali. La loro giornata è fitta di impegni nell’associazione che Sihem ha fondato ad Aprilia, dopo l’arrivo dalla Tunisia, “La Palma del sud”.

“Il film – racconta la regista – nasce da un’idea dell’antropologa Maria Antonietta Mariani, che ne ha curato il soggetto. Già esisteva un progetto portato avanti da lei partendo da Aida, una donna tunisina che ha aperto a Roma un’officina di autoricambi. Attorno a lei si è radunato un nutrito gruppo di donne arrivata in Italia da paesi diversi che si sono rimboccate le maniche dando vita a un esempio concreto e positivo di migrazione e integrazione al femminile. Erano una decina, ma ne abbiamo scelte cinque, compresa la storia a due di Ana e Ljuba, per l’originalità dell’attività imprenditoriale e per l’orizzonte e l’immaginario visivo che potevano dare al film”.

Ma in cosa risiede il punto di forza di queste piccole grandi eroine che riescono dove altri falliscono? “Che siano donne – dice Amoruso – non è un caso. E’ tipicamente femminile il voler mettere radici, piantare semi, farli germogliare in una terra nuova. E’ come se avessero due vite. Il tema che mi interessa è la forza di volontà e il loro romanzo di formazione. Il lavoro era più complicato che in Fuoristrada, si trattava di intrecciare storie in maniera equilibrata e inizialmente, quando abbiamo iniziato a progettarlo con Rai Cinema, avevamo pensato di seguire tre storie, formula ideale per la narrazione multi-lineare e il minutaggio di settanta minuti. Se non che Aida, che volevamo coinvolgere, ha avuto un problema di salute mentre già stavamo girando. Già le cose non erano semplici perché le nostre imprenditrici sono tutte molto indaffarate e spesso non riescono nemmeno a risponderti al telefono. Alla fine siamo riusciti a sostituirla con Sihem, che non conoscevo e devo dire mi si è completamente affidata, dandomi la possibilità anche di parlare del suo contesto culturale, data la sua attività in associazione. Dato però che appunto non la conoscevo, per stare sicura e aggiungere materiale in caso qualcosa fosse andato storto, ho seguito la storia di Ana e Ljuba, che mi colpiva non tanto per l’impresa, ma proprio per il suo valore storico. Due donne, una serba e una croata, che si conoscono all’ufficio immigrazione di Roma e, lontane dal conflitto che affligge i rispettivi popoli, diventano amiche e mettono su un progetto che valorizza il loro livello culturale. Una è laureata in architettura, l’altra in biologia. Mi è sembrata una storia così potente che alla fine ho deciso di includerla”. Date le tematiche, il film si presta anche a un percorso nelle scuole e nelle associazioni culturali.

“Intanto – conclude Amoruso – si parlava di farlo uscire in sala l’8 marzo. Poi proveremo. Con Fuoristrada, che affrontava comunque un tema analogo, ci siamo riusciti saltuariamente e la risposta degli studenti è stata entusiasmante. E’ importante far capire ai ragazzi che gli stranieri, a volte, ci sono vicini, non sono tutti qui a rubarci il lavoro o ad alimentare la criminalità. Bisogna educarli a distinguere. Ma l’Italia in questo senso è un paese difficile perché nessun organismo coordina questo tipo di programmazione. E’ un lavoro a tempo pieno e lo devi fare in prima persona”.

Andrea Guglielmino
20 Ottobre 2016

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