Don DeLillo rende omaggio ad Antonioni e Monica Vitti

Lo scrittore americano, ospite della Festa di Roma, ha letto un suo testo ispirato a Deserto rosso. "Il modo in cui scrivo ha cominciato ad assumere una certa forma grazie al cinema europeo"


Fervido omaggio di Don DeLillo, il 79enne scrittore newyorchese famoso per opere come Cosmpolis, L’uomo che cade e Punto omega, a Michelangelo Antonioni. L’autore, invitato a uno degli Incontri Ravvicinati di Antonio Monda, ha esordito leggendo un suo testo ispirato a Deserto rosso, intitolato Porte e muri, un testo descrittivo, che ripercorre molte scene di quel film del 1964, con alcune riflessioni sul metodo di Antonioni e sulla presenza di Monica Vitti. ”Qui la bellezza è un’ossessione, sembra che il film non possa evitare di essere bello”. E ancora Monica Vitti: ”è l’anima inquieta del cinema di Antonioni, incaricata di non interpretare ma semplicemente esistere. C’è una distinzione tra Monica Vitti e il personaggio che interpreta?”. Deserto rosso “insiste a dire che vale la pena di notare tutto, fino alla più sottile sfumatura”. E ancora: “Antonioni è un regista che non dipende dalle parole di una sceneggiatura definitiva, ha bisogno della cinepresa. Questo è cinema puro, senza suono. Lo scrittore tenta di descrivere scene di cinema nel più dettaglio, goffamente, con le parole”.

Sala Petrassi affollata, niente fotografie né riprese video, per lo scrittore americano. Quasi timido nel parlare del suo amore per il cinema italiano. “Il modo in cui scrivo ha cominciato ad assumere una certa forma grazie al cinema europeo. Mi hanno formato autori come Antonioni, Fellini ma anche Kurosawa”. L’autore di capolavori come Rumore bianco e Underworld, tornato da poco in libreria con Zero K, ha commentato anche alcune scene della trilogia in bianco e nero (L’avventura, La notte e L’eclisse). “Negli anni ’60, quando abbiamo cominciato a vedere Antonioni a New York, quando ho visto Deserto rosso, dopo la trilogia, sono rimasto colpito dal senso del colore. Oggi può sembrare strano ma all’epoca era straordinario. Il colore ha un ruolo più importante dei personaggi. I dialoghi neanche me li ricordo, so che ci sono delle battute pretestuose ma non mi disturba più di tanto”. C’è un conflitto tra immagini e letteratura” “Non penso. Il mio lavoro è stato influenzato profondamente dal cinema, dalle immagini. È tutto astratto. Ancora ci sono persone che sentono il bisogno di scrivere anche se ci possono volere anni per scrivere un romanzo, eppure ci sono giovani che scrivono e pubblicano”. Si tocca il tema della crudeltà delle immagini, della rappresentazione della violenza. “Da molto tempo credo che il cinema possa raccontare il rapporto tra bellezza e violenza. Film come Bonnie e Clyde, La rabbia giovane di Malick, che parla di giovani violenti che sparano a casaccio, Il padrino di Coppola sono film di grandissima bellezza ma immersi nella violenza. Ricordo anche di aver visto in tv un test nucleare nel Pacifico meridionale con la bomba all’idrogeno, era difficile negare che questa energia fosse anche enormemente bella”. Bellezza e violenza solo nel cinema americano? “No, citerei anche La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, Kurosawa e Michael Haneke”.

Infine un ricordo personale, quello del primo film visto al cinema. “Credo sia un cartone animato su I viaggi di Gulliver, ho l’impressione di averlo visto quando avevo 2 anni, ricordo mia mamma che mi portava in braccio a casa dopo che eravamo stati in un cinema nel Bronx. È successo davvero? Mi sembra impossibile perché i miei genitori non mi avrebbero mai portato al cinema quando avevo due anni, eppure mi sembra di ricordarlo”. 

Cristiana Paternò
22 Ottobre 2016

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