Ab urbe coacta, la grande bruttezza di Roma

In concorso al TFF a Italiana.doc, il documentario di Mauro Ruvolo, ritratto ravvicinato di Mauro Bonanni, detto il Barella, un sessantenne che vive a Torpignattara e gestisce uno sfascio di auto


TORINO – Si potrebbe intitolare La grande bruttezza, parafrasando un titolo ormai proverbiale, il documentario di Mauro Ruvolo in concorso al TFF Italiana.doc. Perché la Roma che racconta è tutt’altro che affascinante e laccata. E’ la Roma di Mauro Bonanni, detto il Barella, un sessantenne che vive da sempre alla Certosa, a Torpignattara, e gestisce uno sfascio di auto. Un coatto, come si dice a Roma, che ostenta cinismo e grettezza, fastidio per l’invasione degli extracomunitari in un quartiere diventato multietnico, ma che rivela poi un’umanità inattesa nell’incontro ravvicinato che il regista esordiente, suo nipote, gli dedica e che lo porta fino in Benin. Ab Urbe Coacta si intitola il doc di Ruvolo, che ne è autore a 360°: regista, produttore, autore delle musiche e montatore e che rivela come il film nasca da un’esperienza di vita prima che di cinema, un’esperienza molto personale e sentita.

“Da sempre – racconta Ruvolo a Cinecittà News – seguo mio zio che partecipava a corse di moto in giro per l’Italia, mi ha sempre affascinato per il suo anticonformismo e anche le sue contraddizioni che sono specchio della città e della società. Dietro la durezza e il razzismo istintivo si nasconde una umanità che lo porta ad avere amicizie proprio con molti immigrati, tanto che è stato più volte in Africa. E’ una realtà complessa quella della periferia romana e le reazioni di Mauro e dei suoi amici non sono definibili in modo semplice. Non mi piace iscrivermi a una fazione e preferisco osservare”. Così il film nasce da mesi e mesi di frequentazione con una videocamera discreta che è diventata quasi parte del paesaggio, lasciando i personaggi molto liberi di esprimersi. “C’è un verismo esasperato ma trasposto in forma cinematografica”, sintetizza Ruvolo. Che racconta di come lo zio, un attore nato, sia entrato nel progetto in modo propositivo. “Ha suggerito lui molte scene, quella in cui prende dalla cassaforte ventimila euro in contanti, ad esempio, o il saluto al padre al cimitero”.

Ruvolo rivendica uno stile personale, solo apparentemente pasoliniano. “Volevo anzi staccarmi dalla lezione di Pasolini, a cui mi accostano solo per il discorso sulla borgata. Nemmeno oso accostarmi alla sua poetica e semmai l’influenza di autori come lui, o come Francesco Rosi e Scola, è inconscia. Mostro il degrado e la psicosi di questi ambienti, che però mi appartengono”. E quel titolo, che fa il verso all’espressione latina “ab urbe condita”, quanti lo capiranno fuori Roma? “Coacta può far pensare anche alla costrizione, ma il coatto a Roma è il borgataro rozzo e volgare. Una durezza che ha le sue ragioni, perché c’è dietro una rabbia nei confronti del sistema che si traduce nell’umorismo estremo”. 

Prodotto da Altre Storie e Screen Lab, Ab Urbe Coacta dovrebbe avere una circolazione in alcune sale con Microcinema.

Cristiana Paternò
19 Novembre 2016

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