Daniele Segre: la Resistenza delle donne

Sono le donne le autentiche protagoniste del racconto che il regista fa della Resistenza nel suo Nome di battaglia donna. Un racconto corale, né celebrativo né retorico, che restituisce dignità a quei


TORINO – Sono le donne le protagoniste del racconto che Daniele Segre fa della Resistenza nel suo Nome di battaglia donna presentato al TFF nella sezione Festa mobile. Un racconto corale, né celebrativo né retorico, che restituisce dignità a quei tanti personaggi femminili che durante una stagione decisiva della nostra storia si sono impegnate e sacrificate in prima persona. Quando nel novembre del ‘43 in Piemonte nacquero i “Gruppi di difesa della donna per l’assistenza ai combattenti per la libertà” le donne raccoglievano indumenti per i partigiani, confezionavano bandiere e bracciali; le anziane facevano calze di lana e maglie, le più giovani facevano le staffette o imbracciavano le armi per liberare l’Italia dai nazisti e dai fascisti. Figure spesso relegate dalla storia a un ruolo subalterno e a cui, sorprendentemente, anche la stessa letteratura partigiana ha dedicato poco spazio. Una considerazione che ha colto di sorpresa il regista e l’ha spinto a  intervenire, anche perché c’era l’urgenza di una lotta contro il tempo per dar loro la possibilità di testimoniare in prima persona. Oltre all’esigenza di restituire una verità storica, “in un tempo di revisionismo volgare in cui i partigiani vengo a volte messi sullo stesso piano dei criminali della X Mas”.

Così, in rappresentanza di quelle donne che tra il ‘43 e il ‘45  hanno lottato per la loro e la nostra libertà, davanti alla telecamera di Segre – che rimane quasi in disparte ad osservarle – Marisa Ombra, Carmen Nanotti, Carla Dappiano, Gisella Giambone, Enrica Core, Maria Airaudo, Rosi Marino e Maddalena Brunero raccontano spezzoni delle loro straordinarie vite, illuminando un periodo fatto di difficoltà, impegno civile, passione; ma anche perdite e lutti, così come conquiste e crescite. “Questo fronte interno femminile è stato fondamentale, grazie a loro la Resistenza  ha potuto esistere e resistere – evidenzia Segre che, oltre al trasferimento della memoria, sottolinea l’importanza di mantenere sempre alta la vigilanza su chi oggi mette in discussione i valori della Resistenza.” Con il mio film ho voluto fornire ai più giovani degli strumenti attivi per restituire loro la memoria, ma senza didascalismo, che rischia di creare  un’enfasi pericolosa che allontana”. Perché l’obiettivo di Segre, da sempre, è quello di  mettersi da parte e permettere allo spettatore di elaborare il proprio pensiero. “Il compito del regista è quello di animare il pensiero , nei miei film offro degli spunti di riflessione, in questo caso con la soddisfazione aggiunta di aver portato un contributo a una storia che mi appartiene e verso la quale provo un prfondo debito di riconoscenza. Mi considero fortunato perché sono cresciuto in libertà e democrazia, conquiste non gratuite ma arrivate grazie al sacrificio e alla lotta coraggiosa di qualcun altro”.  

“Psicologicamente non possiamo capire il disagio che queste persone hanno avuto – continua-  e il loro coraggio. Essere in quella situazione di emergenza e capire da che parte stare è qualcosa di veramente difficile. In gioco non c’è la tua credibilità ma la tua vita. L’obiettivo del film – prodotto da I Cammelli in collaborazione con ANPI – è quello di riprendere a zappare la terra perché possano spuntare nuovi germogli, sani e consapevoli della storia che ci appartiene. Il film vuole chiarire e fare un intervento educativo, non didascalico, per permettere ai giovani di appropriarsi della loro storia”.

Carmen Diotaiuti
22 Novembre 2016

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