Francesco Lotoro: “Liberate la musica”

Luce Cinecittà porta in sala, in occasione del Giorno della memoria, Maestro, il documentario di Alexandre Valenti dedicato al recupero delle partiture scritte nel lager


Scritta sulla carta igienica o su un sacco di juta, con un pezzo di carbone o una matita spuntata, a lume di candela mentre nell’altra stanza si ammassano cadaveri sezionati dai nazisti per i loro esperimenti. O semplicemente mandata a memoria. E’ la musica dei campi, un miracolo di resistenza umana che un musicista di Barletta, Francesco Lotoro, 52 anni, sta raccogliendo da oltre vent’anni in tutto il mondo, inseguendo gli ultimi sopravvissuti, spesso depositari di una memoria solo orale. Migliaia di spartiti, composti tra il 1933 e il 1945 (e poi ancora fino al ’53, anno della chiusura dell’ultimo gulag siberiano) a cui il pianista e compositore ridà vita, perché “se chi ha composto queste note ha subìto un’ingiustizia, la stessa ingiustizia non la deve subire la sua musica”. Questa straordinaria storia è ora raccontata in un documentario, Maestro, realizzato dall’autore argentino Alexander Valenti, coprodotto tra Italia e Francia (con l’alto patrocinio dell’Unesco e in collaborazione con l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) e in uscita il 23 gennaio con Istituto Luce-Cinecittà in occasione del Giorno della Memoria (ma la visione proseguirà nelle scuole da venerdì 27 gennaio). Ci saranno inoltre due anteprime-evento, a Barletta e a Parigi, presso la sede dell’Unesco. 

Il film, che nasce dalla lettura di un libro a lui dedicato, “Le Maestro” di Thomas Saintourens, pubblicato in Francia, è costruito come un viaggio nello spazio e nel tempo: sulle orme di Francesco Lotoro, che si muove tra Praga e Gerusalemme, tra Berlino e Auschwitz, tra Parigi e Theresienstadt. E che nel corso di questi anni si è calato completamente dentro alla tragedia dei deportati, arrivando a convertirsi, insieme alla moglie Grazia, all’ebraismo, tra l’altro riscoprendo le radici lontane della sua famiglia “battezzata” tre generazioni fa. Ma il suo archivio della musica scritta in cattività non si limita a restituirci le composizioni dei musicisti ebrei: ci sono polacchi e rom, cechi e italiani, quaccheri e sufi, deportati politici e prigionieri di guerra, fino ai reclusi nei gulag sovietici. La prima composizione la recuperò nel 1990 ed era un pezzo del pianista ceco Gideon Klein, deportato a Teresin nel 1941, trasferito ad Auschwitz nel ’44 e morto nelle miniere di carbone di Furstengrube. “Suonare oggi questa musica, persa e dimenticata per 70 anni, è come far rivivere la Biblioteca di Alessandria”. 

“Com’ è possibile – si chiede il regista Alexandre Valenti – che nelle condizioni disumane del lager qualcuno possa fare musica? L’esperienza di Lotoro ci porta a scoprire proprio questo: la dove c’era la morte troviamo la vita. La voce di coloro che sono stati uccisi è un ultimo atto di resistenza, una parola di libertà di fronte a questa catastrofe umana. Se questa musica non viene suonata rimane ancora prigioniera, allora diventa necessario riportarla alla luce”. Il documentario ha intensificato l’attività di Lotoro – da 4.000 partiture ora è arrivato a collezionarle 8.000 e ben 12.000 sono i documenti di vario tipo da lui raccolti, nastri, dischi di gomma, vinili incrinati, bobine. “Il film ha dato un grande impulso alla ricerca – ci racconta – certo, se potessi viaggiare senza l’incubo dei problemi economici, potrei fare ancora molto, è una corsa contro il tempo per noi, perché i sopravvissuti sono molto anziani”.

Così è nata Last Musik, una onlus che parallelamente al film serve a raccogliere fondi per finanziare un’enciclopedia e l’ampliamento dell’archivio con sede a Barletta. Ne parlano i produttori, Donatella Altieri e Marco Visalberghi, spiegando che attualmente è in corso un fundraising per finanziare 100 viaggi e il ritrovamento di 100 nuove musiche. Poi ci sono i concerti: l’Orchestra di Musica Concentrazionaria si è esibita a Roma e Los Angeles, New York e Milano, Dachau e Bruxelles, presto sarà al Piccolo di Milan con la voce di Ute Lemper. 

Ma alla fine quello che resta, in questo documento sconvolgente, è il potere salvifico della musica, che risuona dietro al filo spinato, le opere di artisti come Viktor Ullmann, Gideon Klein, Rudolf Karel, Josef Kropinski. O il Concertino per pianoforte e orchestra di Wally Karveno, nata Loewenthal, che ha consegnato a Lotoro questa partitura scritta nel campo di Gurs poco prima di morire, all’età di 101 anni. “L’uomo sublima i suoi sentimenti facendo musica, cercando un ritmo – risponde Lotoro a chi gli chiede se si possa rintracciare un filo rosso dentro alle musiche concentrazionarie – i compositori si sono adattati agli strumenti che avevano a disposizione, a volte due violini e un flauto, altre volte, come ad Auschwitz, un’intera orchestra. Il campo è presente, in quelle note, ma come in filigrana. E poi quello che desidero è che questa musica torni ad essere normale, una musica che si può cantare e fischiettare anche sotto la doccia”. 

Maestro sarà anche in onda su Raitre il 26 e 27 gennaio. 

Cristiana Paternò
18 Gennaio 2017

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