Cosa resta del femminismo?

Un film di Paola Columba mette a confronto due generazioni, quella degli anni '70 e le ragazze di oggi, sui temi della parità, dell'autodeterminazione e del corpo


“Femminismo come maschilismo: significa che la donna è superiore”, dice la giovane Sara. E’ una delle testimonianze che ti lasciano sconcertata in Femminismo!, il film di Paola Columba che parte proprio dalla percezione nelle nuove generazioni, quelle di youtube, rispetto a un movimento che ha rappresentato, nella sua straordinaria complessità, un’apertura di possibilità esistenziali e di pensiero prima inimmaginabili per una donna. “Ci sono conquiste che diamo per scontate ma che potrebbero essere revocate”, riflette la regista. Che mette in gioco, giustamente, la propria soggettività. “Da ragazza mi sentivo un donna libera di poter pensare quello che volevo, di progettare il mio futuro e la mia vita, senza limitazioni o costrizioni. L’indipendenza la percepivo come un sentimento innato. E’ stato così grazie alle battaglie delle nostre nonne e delle nostre mamme”.

Quel filo si è spezzato e c’è da fare un riflessione sui motivi di una tale drastica interruzione. Certo è che l’oggi è segnato da una forte regressione dei diritti (non solo delle donne, ma in questo le donne è come se fossero un laboratorio “vivente”). L’aborto viene continuamente rimesso in discussione. Alla possibilità del divorzio fa da tragico contraltare la realtà del femminicidio, l’uomo non accetta di essere lasciato. L’aggressione contro il corpo delle donne prosegue in rete, dove pullulano gruppi che fanno dell’oscenità una bandiera. Alternando le parole delle ragazze della generazione 2.0 alle interviste alle protagoniste della stagione degli anni ’70 (Lidia Ravera, Dacia Maraini, Emma Bonino, Piera Degli Esposti, Maria Rosa Cutrufelli, Luisa Muraro, Lea Melandri…) e con un largo uso dei materiali d’archivio (fondamentale l’apporto dell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), il documentario, autoprodotto da Paola Columba con Fabio Segatori, sembra voler rimettere in circolo la spinta ideale che mosse le battaglie per l’autodeterminazione, ma mostra anche le rivolte odierne, dalle Femen a Pussy Riot, in un presente sempre più schiavo di stereotipi sessuali veicolati dalla pubblicità ai videogames (quanto è ancora attuale il classico “Dalla parte delle bambine” di Elena Gianini Belotti).

“Femminismo è diventata una parola scivolosa – riflette Lidia Ravera, oggi assessora alla Cultura della Regione Lazio – ci si ronza attorno senza metterlo a fuoco, invece il film è sostanzioso, vi si sente un altro sguardo sul mondo. Nel ’68 facevo il primo superiore e i compagni mi facevano scrivere i volantini perché scrivevo bene ma dovevo adeguarmi alla scaletta che veniva dettata da un maschio, così sono diventata femminista. Le ragazze di oggi non lo sanno, ma abbiamo contribuito a dare consapevolezza del loro valore anche a loro. Se da una parte penso che chi non è femminista sia scema, dall’altra sono contenta che abbiano il coraggio anche di dirsi non femministe”. E mentre le madri storiche arrivano sulla soglia della vecchiaia, Ravera suggerisce una nuova frontiera del dibattito: “Perché il femminismo non tematizza il dolore femminile nell’invecchiare in una società dove dobbiamo essere tutti freschi come lattughe? Vorrei rivedere i piccoli gruppi in azione, facciamo rete”.

Paola Columba, che sta lavorando a un progetto con Laura Morante e Vincenzo Amato ispirato al best seller Mondadori E sarà bello morire insieme di Manuela Salvi, ammette: “C’è stato un problema nella trasmissione dei saperi, è stato sbagliato tagliare i ponti con ciò che c’è stato, una delle caratteristiche del femminismo era di essere esclusivo, di lasciare fuori il mondo dei maschi”. E prosegue con amarezza: “Negli anni ’70 era impossibile immaginare che un ragazzo desse fuoco alla sua fidanzatina perché lo stava lasciando”.

Paola Scarnati dell’Aamod, che acquisirà per il suo archivio le 53 ore di interviste integrali, spiega che la produzione su questi temi si interrompe bruscamente all’inizio degli anni ’80. Ed è proprio alla nascita delle tv berlusconiane che si fa risalire il ritorno alla donna oggetto di antica memoria. Lo pensa Marida Lombardo Pijola, giornalista che si è concentrata sull’osservazione degli adolescenti. “Il film dovrebbe girare nelle scuole, nelle università. Si sente la mancanza di interventi culturali per prevenire la cultura terrificante che sta alla base della deriva violenta. Ma non tutto è perduto: vediamo le ragazze manifestare contro Trump e il femminicidio. Siamo la maggioranza nel mondo del lavoro, siamo presenti nel giornalismo, nella politica. Però le bambine sono state travolte da una controrivoluzione e non capiscono”. Al film fa i suoi auguri, con un messaggio, anche la presidente della Camera Laura Boldrini, continuamente bersagliata in rete con violenti attacchi sessisti. “Nessuna conquista è per sempre – scrive Boldrini – nessun diritto vive per inerzia, oggi è necessario che quella parità venga rilanciata”. E la scrittrice Maria Rosa Cutrufelli guarda alle giovani donne con ottimismo. “Come dice Maria Zambrano le radici devono avere fiducia nei fiori”. E aggiunge: “Non invidio le ragazze di oggi. Per noi le discriminazioni erano come macigni che ci sbarravano la strada, oggi è più difficile vedere dove stanno i macigni perché passano per l’immaginario, l’espropriazione del corpo, le servitù domestiche…”.

Femminismo!
è stato già richiesto per proiezioni eventi in undici città (Milano, Bologna, Parma, Rimini, Grosseto, Viterbo, Roma, Bari, Matera, Rende e Cagliari) dove sarà portato dagli autori stessi con la Baby Films che ha prodotto insieme ad Aamod e all’Università Roma Tre.

Cristiana Paternò
25 Gennaio 2017

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