Moonlight, autobiografia in black

La pellicola di Barry Jenkins, già Miglior Film Drammatico ai Golden Globe, adesso è in corsa per gli Oscar con 8 candidature. Esce in sala, in Italia, il 16 febbraio con Lucky Red


Un bambino. Nero. Una madre. Tossica. Un quartiere. Malfamato. Un film che, conoscendone l’epifania, contiene in sé delle tracce autobiografiche – non cercate, né note, a priori – degli autori, nonché un realismo quasi documentario dei luoghi. La storia di Moonlight (film d’apertura della Festa di Roma) nasce alla Scuola di Arte Drammatica di Miami, nel 2013, per mano di Tarell Alvin McCraney (sua la trilogia di successo The Brother/Sister Plays), allora vincitore di una borsa di studio, che propose il progetto come lavoro scolastico di drammaturgia. Per mano di un membro del Borscht Film Festival di Miami, evento mirato a valorizzare gli artisti locali, lo scritto approda nelle mani del regista Barry Jenkins, e qui, per puro caso, iniziano ad affiorare le affinità: McCraney aveva scritto qualcosa che rievocava la sua giovinezza, ambientando la situazione nel quartiere depresso e degradato di Liberty City, lo stesso quartiere in cui il regista aveva vissuto la propria adolescenza. McCraney e Jenkins hanno frequentato le stesse scuole, senza mai conoscersi, hanno entrambi scelto la strada dell’arte per liberarsi da luoghi e atmosfere altrimenti imprigionanti, come il film racconta, e condiviso anche la distruzione della maternità, infatti la mamma del drammaturgo è sieropositiva e quella del regista è purtroppo mancata a causa dell’AIDS.

Così, in quelle tante affinità, Barry Jenkins ha riconosciuto quanto McCraney sia “stato bravissimo a descrivere cosa significhi essere un ragazzino di colore povero che cresce in un quartiere di case popolari di Miami. Avevo la sensazione che potesse aiutare anche me a tirar fuori alcuni dei miei ricordi di infanzia e portarli sullo schermo. Le basi della sua esperienza di vita erano le stesse della mia”. Jenkis, seppur non omosessuale, tratta con delicata franchezza il tema, non centrale nel film, ma, di certo, elemento concorrente alla definizione del personaggio protagonista, Chiron.

Alex Hibbert, Ashton Sanders e Trevante Rhodes
sono stati il viso, il corpo e tutto l’universo emotivo di Chiron, infatti il film si struttura nelle tre fasi della vita dell’uomo, prima bambino, poi adolescente, e infine adulto, cresciuto e vissuto nel quartiere – tra i più pericolosi d’America – di Liberty City, altro dettaglio rispettato in fase di realizzazione: come si diceva, Jenkins, come McCraney, è davvero nato lì e dunque era importante mostrare il luogo in cui era cresciuto e in cui si era formato, proprio come succede a Chiron. Il casting per la ricerca del protagonista, con la ricerca di tre diversi interpreti, uno per ognuna delle tre età, è stato fatto con un’ampissima ricerca oltre agli archivi fotografici e video canonici delle agenzie di casting, battendo piuttosto la città, poi il Paese, le scuole e i quartieri, alla ricerca di facce che fossero quella di Chiron in quei momenti della sua vita: così è stato trovato Alex Hibbert, che portava naturalmente con sé uno sguardo capace di raccontare la vulnerabilità del piccolo Chiron, detto “Little”. Ashton Sanders, il protagonista adolescente, è stato scoperto durante una delle ennesime sessioni di casting a Los Angeles. Infine, Trevante Rhodes, ex campione di atletica, già scritturato da Nicolas Cage per un filmè il protagonista adulto. Nessuno degli attori si conosceva, non hanno mai girato insieme, eppure per una strana ma efficace alchimia si è creata una continuità di postura, espressione, malinconia, andatura, che lascia davvero immaginare possa essere lo stesso uomo in tre età della vita.

Moonlight potrebbe, non a torto, rientrare nella definizione di romanzo di formazione, quella imposta da un certo stile di vita, quella di un bambino che, nonostante tutto, riesce a diventare uomo, e per farlo attraversa le complessità della convivenza sociale e della costruzione della propria psiche, affatto semplice nel dover comprendere e accettare la propria omosessualità in un posto di certo poco affettuoso e pronto a ferire più che a proteggere. E, come in ogni formazione che si rispetti, anche qui c’è una figura paterna, o meglio un surrogato di un padre inesistente, presente soltanto nella prima delle tre età di Chiron, l’infanzia, ed è quella di Juan (Mahershala Alì, già volto del lobbysta Remy Danton nella serie House of Cards), capace di conquistare la fiducia di “Little”, riuscendo così a trasmettergli i fondamentali per sopravvivere negli anni della maturazione e poi dell’età adulta. È sua una delle 8 nomination all’Oscar, come Miglior Attore Non Protagonista, ed è decisamente possibile una vittoria per la capace personificazione nel ruolo. Oltre a questa, le altre candidature sono per Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Non Originale – di Barry Jenkins – Miglior Film, Miglior Fotografia, Miglior Montaggio, Miglior Attrice Non Protagonista, Miglior Colonna Sonora.  

Moonlight esce in sala il 16 febbraio, distribuito da Lucky Red e, tra gli altri, è stato prodotto dalla Plan B Entertainment di Brad Pitt, società che ha apprezzato molto il regista già alla sua opera prima, Medicine For Melancholy (2009). 

Nicole Bianchi
02 Febbraio 2017

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