Berlinale sotto l’effetto Trump

Si preannuncia come particolarmente politicizzata la 67ma edizione della Berlinale, che prende avvio oggi


BERLINO – Un festival “politico”. Così viene definita la Berlinale nella conferenza stampa di presentazione da una giornalista, e in particolare questa edizione che si è aperta con una polemica diretta del direttore Dieter Kosslick, cha ha dichiarato in un’intervista televisiva a Deutsche Welle che Donald Trump è, secondo lui, “il presidente più sopravvalutato della storia. Questo naturalmente anche in risposta allo scontro tra il neo-presidente e Meryl Streep, presidente di giuria della scorsa edizione, tacciata appunto da Trump di essere un’attrice sopravvalutata. “La discussione – ha detto poi Kosslich a ‘The Hollywood Reporter’ – in questo momento è sui rifugiati, e sul popolismo, quando invece dovremmo parlare di come i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Le cose devono cambiare, ovviamente, e noi lo abbiamo sempre detto e lo diciamo anche stavolta, quindi sì. Siamo un festival politico”. E le tematiche di tipo politico sono sicuramente presenti nei film di quest’anno, a partire dal film di apertura, Django, che è sì una biografia del grande musicista Django Reinhardt ma anche e soprattutto una riflessione sulle persecuzioni etniche, e qui in particolare quella degli zingari, da parte dei nazisti, durante la seconda Guerra Mondiale. E poi ci saranno Young Karl Marx di Raoul Peck e The Dinner di Oren Moverman. La personalità di Trump e il suo fare bellicoso certamente gettano un’ombra su questa edizione. Molti suoi seguaci saranno presenti alle proiezioni e alle conferenze, e già si sente l’influenza sull’industria internazionale del cinema. Un esecutivo del Festival ha detto a ‘The Hollywood Reporter’ che “bisogna stare attenti ai permessi di chiunque lavori con noi, se possono viaggiare oppure no. E’ una pazzia”.

La giuria, però, in fase di apertura, non ha voluto enfatizzare:  “Non pensiamo a un messaggio da trasmettere, ma soltanto alla qualità dei film, anche se siamo ben coscienti di quante tragedie avvengono nel mondo di oggi”. Così ha detto il presidente Paul Verhoeven, reduce dal successo di Elle con Isabelle Huppert, presentato a Cannes, che gli sta restituendo parecchia popolarità. Gli altri membri sembrano seguire la stessa linea: “Non siamo qui per mandare messaggi – spiega l’attore messicano Diego Luna, recentemente visto nella mega-produzione Star Wars – Rogue One – è una chance per ascoltare voci diverse ed esserne ispirati, per capire come cambia il cinema e come si muove. Poi – aggiunge – qui si può osservare da vicino cosa succede a costruire muri. Io per il mio lavoro attraverso la frontiera tre volte al mese, in ogni luogo in cui vado ho degli affetti. E d’altro canto solo con l’amore si può combattere l’odio. Se c’è un messaggio da mandare, magari è questo”. “Sicuramente – completa il discorso la produttrice tunisina Dora Bouchoucha Fourati – il mondo dobbiamo osservarlo bene, è il nostro mondo e non possiamo certo uscirne”.

“Cerchiamo di capire le argomentazioni di tutti – continua Verhoeven – mi aspetto generalmente di vedere tanti film differenti e di provare emozioni, rabbia oppure entusiasmo”. Si parla anche, in generale, del futuro del cinema e di come il mezzo stia cambiando: “Certo resto anch’io interdetto – dice ancora Luna – quando mi rendo conto che ormai i telefonini possono sostituire una videocamera. Ma fondamentalmente cerco film con cui ci si possa connettere”. “Finché ci sarà questo – commenta l’attrice Maggie Gyllenhaal – il cinema resterà in piedi. La gente compra i biglietti per restare connessa, per sentirsi emozionata, e quello che emoziona è l’esperienza umana. Chiaramente anche in relazione alla tecnologia, ma non penso sia possibile emozionare con un film interamente realizzato da un computer”.

“I film di oggi – riprende il discorso Verhoeven – sono molto diversi da quelli realizzati negli anni ’80. Si punta a conquistare più pubblico possibile, ovviamente per ragioni di tipo economico, e questo significa fare sempre più film adatti ai ragazzi e sempre meno film con tematiche adulte. Questo porta necessariamente a qualche mancanza e a un impoverimento”. “Ad esempio – continua Gyllenhaal – Elle è un film per adulti, ma non solo perché fa riferimento alla sessualità. Sono le tematiche a esserlo, ti spinge a pensare e a costruirti da solo la tua interpretazione. Nei festival cerchiamo film così”. Tra i giurati c’è anche l’artista islandese Olafur Eliasson, che spiega la sua visione del cinema: “quando penso che un film è bello è perché mi ci rifletto, e mi mostra sentimenti che io conosco bene ma che non ho avuto la capacità di verbalizzare. E allora dico ‘sì, ecco, conosco questa sensazione. Sono proprio io’. E a quel punto non sono più io a guardare il film ma è lui che guarda me”. Infine il regista cinese Wang Quan’An, orso d’oro 2007 con Il matrimonio di Tuya, sottolinea l’importanza particolare di questo festival per il suo paese che “ha bisogno di sostegno in particolare per quanto riguarda i film più artisticamente orientati. Ricevere l’orso è stata una delle cose più belle che mi siano capitate e poterlo dare e qualcun altro è il modo migliore per poter ringraziare”.  

Andrea Guglielmino
09 Febbraio 2017

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