Félicité: i Dardenne fanno scuola anche in Africa

C'è anche un po' di Italia in Félicité, il film del franco senegalese Alain Gomis, realizzato con un contributo del laboratorio Final Cut in Venice, in concorso alla Berlinale


BERLINO – C’è anche un po’ di Italia in Félicité, il film del franco senegalese (ma con ascendenze anche nella Guinea Bissau) Alain Gomis, classe 1972, al suo quarto lungometraggio (con l’opera prima L’Afrance vinse il Pardo d’argento a Locarno nel 2001). La variegata coproduzione, con capitali principalmente francesi, di questo titolo passato in concorso alla Berlinale comprende infatti anche un contributo del laboratorio Final Cut in Venice. Il film ha convinto, ma non entusiasmato, la platea dei giornalisti con una storia vibrante che ricorda alcune situazioni dei Dardenne, specie nella prima parte, ma mescola il duro realismo a tratti quasi documentaristico del racconto, a momenti onirici e molta buona musica. Protagonista è l’esordiente Véro Tshanda Beya – fa davvero la cantante – nel ruolo di Félicité, una donna forte, indipendente e fin troppo orgogliosa, che si guadagna da vivere più che dignitosamente cantando ogni sera in un bar di Kinshasa. Un brutto giorno, però, il suo unico figlio adolescente ha un grave incidente in moto, è ricoverato con una frattura scomposta alla gamba che perderà se la madre non trova i soldi per pagare l’operazione. Sono tanti soldi e Félicité combatte come una tigre: chiede aiuto agli amici e ai parenti, implora e minaccia, incassa qualche sì e molte risposte negative, come quella del padre del ragazzo che anni prima è stata lei a lasciare e che non la vuole più vedere. In sostanza è sola se non fosse per un vicino di casa, Tabu, un uomo grosso e un po’ svitato che sta cercando di ripararle il frigorifero (quando alla fine ci riesce, dopo molti tentativi andati a vuoto, il pubblico in sala si fa strappare un applauso) e che si rivelerà decisivo nella sua vita. Il film è un ritratto femminile a tutto tondo ed è anche un ritratto della capitale del Congo, che viene colta e rappresentata nel suo aspetto caotico e multiforme, compresi i momenti piuttosto stranianti in cui un’orchestra sinfonica esegue Fratres di Arvo Pärt

In concorso è passato anche l’austriaco Wild Mouse, opera prima dell’attore e cabarettista Josef Hader che interpreta anche il protagonista Georg, un noto critico musicale che viene licenziato dal giornale dove lavora e che da allora medita vendetta. Un film legato al tema estremamente attuale della difficoltà di reinventarsi nel mondo del lavoro specie per chi ha superato la mezza età, tema raccontato con diversi spunti di commedia. Del resto, per Hader, “il tragicomico è il modo migliore per rappresentare quel qualcosa che chiamiamo vita”. 

Cristiana Paternò
11 Febbraio 2017

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