Pokot, alla Berlinale il thriller animalista

E’ in concorso il film di Agnieszka Holland tratto dal romanzo di OlgaTokarczuk (tradotto in inglese con il titolo Drive Your Plow over the Bones of the Dead)


BERLINO – E’ in concorso il film Pokot di Agnieszka Holland, regista polacca con una grande carriera alle spalle a livello internazionale in campo di cinema e televisione, e forse proprio questa sua seconda anima, in particolare la partecipazione alla serie thrilling Cold Case, per cui ha diretto alcuni episodi, emerge particolarmente in questo film ben girato (con largo uso di droni e tecnologia avanzata per sottolineare anche i rilevanti aspetti naturalistici e paesaggistici), tratto dal romanzo di OlgaTokarczuk (tradotto in inglese con il titolo ‘Drive Your Plow over the Bones of the Dead’), così ricco di temi da risultare, a tratti, anche un po’ confusionario. “Quando portavo in giro lo script – dice la regista – mi chiedevano di cosa si trattasse rispondevo che era un thriller su una donna ambientalista e femminista, con echi di black comedy”.

La protagonista infatti è un’anziana signora molto colta che vive in un piccolo e pittoresco villaggio nelle montagne dei Sudeti. Una notte trova un cadavere vicino a casa sua. La vittima è un bracconiere morto in circostanze misteriose. Passa il tempo e vengono trovati altri corpi: sono tutti di persone note nel mondo della caccia. Janina, che è un’animalista convinta e non ama i cacciatori, responsabili di aver ucciso le sue due cagnette a cui lei era affezionata come fossero sue figlie, è convinta che siano stati uccisi da animali selvatici per spirito di vendetta, mentre la polizia comincia a sospettare di lei. C’è il ‘revenge movie’, il thriller, l’utopia sessantottina. “Non ci sono istruzioni per interpretare questo film – convengono sia la regista che l’autrice del romanzo – non vogliamo darvi un punto di vista ma suscitare domande che altrimenti non sarebbero venute a galla. C’è un po’ di Quentin Tarantino e le tematiche femministe”.

“Mi sono chiesta – continua Holland – come fosse il punto di vista di una donna della mia età che si trova a vivere in un contesto culturale con cui non si trova d’accordo, e che semplicemente non vuole essere considerata influenzabile. E’ una cosa tipica della mia generazione, sono anziana e femminista. Olga è una delle mie scrittrici preferite ma solo questo romanzo per me era trasponibile al cinema. In realtà la facevo facile. Pensavo che la sceneggiatura fosse già pronta e insita nel libro, ma invece insieme a lei, che l’ha curata con me, l’abbiamo scritta per ben diciassette volte in due anni. Siamo entrambe contro la pena di morte e pensiamo che nessuno abbia il diritto di uccidere nessuno per punire alcunché, non stiamo dicendo che la caccia sia la peggior cosa che avviene nel mondo. Né compariamo l’uccisione di animali o insetti all’Olocausto, anche se uno dei nostri personaggi lo fa. Per lui è così. Ci muoviamo solo in quel territorio che è un po’ una terra di nessuno, al confine tra Polonia e Germania, come se fosse una specie di Far West, una frontiera che gli uomini hanno conquistato e dove si sono insediati senza dover provare che fosse loro.

“La caccia è una metafora politica – specifica ancora Tokarczuk – è considerata una tradizione polacca e le decisioni politiche maggiori vengono prese proprio durante le battute di caccia. Il Ministro dell’ambiente stesso fa parte della lobby dei cacciatori. Le leggi sono molto complesse, ad esempio si rischia di essere puniti se si va in giro per i boschi, senza voler cacciare, perché si dà fastidio alla battuta di caccia. Ma potevo anche scrivere del processo di allevamento degli animali e di come vengono macellati. Tutte cose che non vediamo perché troviamo i quarti di bue belli pronti in negozio”.

“Io sono stata presente a delle battute di caccia – racconta Holland, come documentarista – ci vanno anche donne e bambini. E’ considerato istruttivo e tradizionale. C’è stata una mozione per evitare che i bambini guardassero queste scene potenzialmente traumatiche ma non ha avuto esito. E’ una metafora di quello che avviene in politica. Molti uomini magari non caccerebbero ma si lasciano coinvolgere, diventano ‘mainstream’, giustificandosi dicendo semplicemente ‘non ho iniziato io’. Ma questo nutre i regimi totalitari. Non puoi avere la democrazia se non pensi ai deboli, ai poveri, e se pensi di poter soggiogare tutti quelli che ti si mostrano come meno forti di te. Però ho voluto mostrare come nel mondo le cose cambino. Pensiamo alle nomination agli Oscar, a Moonlight, al fatto che una donna nera negli anni ’60 non poteva nemmeno accedere ai gabinetti della Casa Bianca, era considerata un paria. Lo stesso è per i diritti degli animali. Ci sono le rivoluzioni, le cose cambiano, non necessariamente in meglio, ma lo fanno”.

Andrea Guglielmino
12 Febbraio 2017

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