Civiltà perduta, il ‘mea culpa’ nei confronti dell’Amazzonia

In sala dal 22 giugno il kolossal di James Gray sulla spedizione senza ritorno dell’esploratore Percy Fawcett alla ricerca di una civiltà sconosciuta


Nel 1925 l’esploratore Percy Fawcett si introdusse con una spedizione, di cui faceva parte anche il suo primogenito Jack, nel cuore della giungla amazzonica dove, in seguito a precedenti viaggi, si era convinto di aver trovato tracce di un’antica civiltà sconosciuta. Da quella spedizione né lui né suo figlio sarebbero mai tornati. Dalla vicenda, e in particolare dal libro ‘Z, la città perduta’ di David Grann, il regista James Gray ha tratto il film The Lost City of Z (Civiltà perduta), in Berlinale Special Gala e in sala dal 22 giugno con Leone Film Group e Eagle Pictures, un film d’avventura classico, romanzato ma non edulcorato, supportato da un grande cast di cui fanno parte Charlie Hunnam, Robert Pattinson, Sienna Miller e il prossimo Spider-Man dello schermo Tom Holland.

Non si tratta però di una visione scanzonata alla Indiana Jones. La giungla è dura, fa vomitare sangue, fa morire di fame o trafitti da una freccia, e solo con un lungo addestramento fisico e psicologico – Fawcett era in effetti prima di tutto un rinomato militare –  è possibile affrontarla, proprio come se fosse una trincea. Non è possibile resistere al suo richiamo, come in Apocalypse Now. Il film racconta anche e soprattutto la storia di un’ossessione: “Dicono che sono un regista classico – dichiara Gray in conferenza – ma io non mi ci riconosco molto. Forse la superficie lo è, e mi mantengo in questo modo perché a volte non sai nemmeno tu il sottotesto che il film si può portare dietro, ma la mia idea non era di fare un film di avventura puro. Di quelli ce ne sono tanti, e mi piacciono, ma non siamo più negli anni sessanta. A me interessava un approccio introspettivo e sociale, dove la giungla rappresentasse anche la fuga da una società cieca e stratificata. Non so cosa il pubblico si aspettasse ma era necessario mostrare anche la visione occidentale delle teorie di Fawcett, perché tutto avesse senso. Per questo una buona parte è di ambientazione londinese. E’ come se il film si ambientasse su due pianeti diversi. Non volevo nemmeno che fosse un film antropologico. Non potevo girarlo esattamente nei posti che ha visto Fawcett che ora sono stati bonificati, mi avevano offerto di girarlo in Sud Africa oppure in Australia, ma abbiamo scelto la Colombia e il Venezuela per restare più vicini possibile alla verità. Abbiamo usato quattro tribù locali. Erano attori incredibili per il modo naturale in cui stavano davanti alla telecamera ma dirigerli era impossibile, per via della lingua. Tempo che ci mettevamo a tradurre si mettevano a saltare in giro. Ho cercato solo di essere più onesto possibile e di non mettermi dalla parte di chi dice ‘Ehi, guardate com’è interessante vedere questa gente’. Il punto era far capire che gli indigeni sono loro stessi una realtà culturale indipendente. Non mi interessava mostrarli buoni o cattivi. Una frase del film è ‘siamo fatti tutti della stessa argilla’, questo significa che il sogno di colonizzare il mondo è condiviso. Il libro non è propriamente basato sul razzismo dei bianchi, ma sfortunatamente il soggetto è ancora attuale, specie pensando a Trump. Fare un film revisionista sul tema ‘uomo bianco nella jungla’ era anche un modo per fare ‘mea culpa’ nei confronti di tutti i danni che gli europei hanno portato alle popolazioni indigente. E’ stata un’avventura, ho avuto a che fare con ragni e serpenti, e mi ha cambiato, certo, come mi cambiano però tutti i film che faccio”.

“Non ho avuto modo di parlare con i discendenti di Fawcett – dice il protagonista Charlie Hunnam – ho parlato piuttosto con James e cercato di costruire insieme il personaggio, cercando anche le similitudini con la mia vicenda. Chiunque abbia un sogno così importante è sempre un po’ egoista, cerca di onorare tutte le sue responsabilità ma segue ‘il senso del destino’. Ho letto rapidamente alcune sue lettere, ma non ho avuto molto tempo a disposizione”.

“Ho amato molto l’idea dell’esplorazione del mondo fuori controllo – ha detto Pattinson – non so quanto sopravvivrei nelle jungla, senza cellulari e twitter”. “La moglie di Fawcett – dice Sienna Miller che interpreta il personaggio – era molto moderna, anche nel modo di approcciare la relazione col marito. Non a caso supportava le Suffragette. Anch’io mi sarei comportate come lei al posto suo”. Il film nasce produttivamente da Plan B, la società di Brad Pitt. Inizialmente si era pensato a lui come protagonista principale.  

Andrea Guglielmino
14 Febbraio 2017

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