Volker Schlöndorff, quanti rimpianti a Montauk

Tra l'autobiografia e l'omaggio a Max Frisch si muove Return to Montauk, il film di Volker Schlöndorff in concorso alla Berlinale con Nina Hoss e Stellan Skarsgård


BERLINO – Tra l’autobiografia e l’omaggio a Max Frisch si muove Return to Montauk, il film di Volker Schlöndorff in concorso alla Berlinale. Dedicato allo scrittore svizzero, è ispirato alla novella Montauk (1975), in cui Frisch raccontava un episodio della sua vita sentimentale, l’incontro con una donna durante un breve soggiorno nel villaggio omonimo sulla costa di Long Island, un racconto che, secondo alcuni biografi, gli costò il divorzio dalla seconda moglie. Per il 78enne Schlöndorff si tratta di un ritorno alle atmosfere dello scrittore che aveva già adattato con Homo Faber nel 1991, “ma una trasposizione di Montauk sarebbe comunque stata impossibile finché Frisch era vivo proprio per i temi delicati che tratta questa sua opera”. 

La vicenda inizia con l’arrivo a New York di Max Zorn (Stellan Skarsgård), uno scrittore sessantenne che vive a Berlino ed è profondamente radicato nella cultura europea. Famoso anche in America, è qui per presentare il suo nuovo libro. Lo accoglie la giovane moglie (Susanne Wolff) che vive negli Stati Uniti, in attesa che anche lui la raggiunga. Ma l’incontro casuale con un amico di vecchia data, un collezionista d’arte che vuole regalargli un disegno di Paul Klee, distrae Max dal tour promozionale. Tutte le sue energie sono ora rivolte alla possibilità di ritrovare Rebecca (Nina Hoss), la donna che ha amato molti anni prima e su cui nutre forti rimpianti, perché l’ha abbandonata all’improvviso. Tornare con lei a Montauk, dove furono felici, può forse riaccendere la fiamma? Lui sarebbe anche pronto, o almeno così crede, a cambiare la sua vita all’improvviso perché due cose sole contano: quelle che abbiamo fatto e non dovevamo fare e quelle che non abbiamo fatto e dovevamo fare…

Cinema di parola che raffredda il melodramma nella costruzione letteraria e nella spiegazione filosofica, Return to Montauk finisce per sovrabbondare di intellettualismo a scapito del cuore, identificando il punto di vista nel narcisismo anaffettivo del protagonista. Per il regista tedesco, premio Oscar con Il tamburo di latta, autore, tre anni fa, del bel duetto storico Diplomacy, è stata un’avventura molto personale, forse troppo: “ci ho messo qualcosa di me, un po’ di poesia e un po’ di verità”, confessa. E ammette di avere molti rimpianti. Come doveva averne Max Frisch. “Non so cosa avrebbe pensato di questo film se fosse vivo. Venti anni fa, quando questa storia era ancora fresca, ai tempi di Homo Faber, non avrebbe voluto parlarne. Per lui era qualcosa di intimo, era un uomo che pensava molto al passato, a quello che avrebbe potuto fare e non aveva fatto. Il film ci mostra come tre vite rovinate non siano sufficienti a ricostruire qualcosa”.

Grande sintonia tra gli attori. Se Stellan Skarsgård ha scelto lui stesso Nina Hoss tra molte interpreti che Schlöndorff aveva proposto per il ruolo di Rebecca, Suzanne Wollf racchiude il senso del suo personaggio in una battuta “Ti amo. Lo sai?”. “Perché Clara segue quest’uomo? La risposta è in questa frase semplice eppure profonda. Non ha un atteggiamento isterico, non lo rimprovera, non gli presenta il conto per ciò che ha fatto, ma si limita dire che lo ama. Però è lei che decide della sua vita e non lo segue”. Infine Nina Hoss, che interpreta in un certo senso il fantasma del passato: “Il mio è un personaggio di sogno, quasi una proiezione dei desideri dell’uomo. Ma quando racconta del suo tragico destino ridiventa padrona della sua vita”. 

Cristiana Paternò
15 Febbraio 2017

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