Logan: la parabola dell’eroe chiude con un road-movie

il film, violento e introspettivo, ricorda più Paris, Texas che i film degli X-Men. “Volevo fosse il film definitivo su Wolverine – ha detto Jackman – quello che potrò consigliare ai miei nipoti"


BERLINO – Ha suscitato curiosità la presenza (Fuori Concorso) di Logan di James Mangold, film che chiude idealmente la parabola super-eroistica nei panni del mutante con gli artigli Wolverine, alla Berlinale, che solitamente orienta la selezione verso pellicole impegnate e incentrate su tematiche di tipo sociale o politico. Ma dopo averlo visto, la scelta risulta molto meno bizzarra e azzardata. Si sapeva che il film sarebbe stato ‘R Rated’, ma non è tanto il grado di violenza o linguaggio scurrile a farne un film indirizzato agli adulti, quanto la sua impostazione, più da road-movie con tanto di implicazioni “familiari”, un po’ alla Paris,Texas (del resto anche nei fumetti l’eroe ha una figlia, Laura Kinney, con i suoi stessi poteri), che bilancia azione e dialogo offrendo un inedito punto di vista introspettivo. Si diceva che Mangold si volesse ispirare specificamente a una celebre mini a fumetti, ‘Old Man Logan’, dove appunto Logan appare vecchio e stanco e si ritrova a combattere in un mondo post-apocalittico, ma i richiami sono molto labili. Il film si ambienta sì nel futuro, ma in un futuro piuttosto vicino, il 2029, e la trama prende altre pieghe anche per l’impossibilità di usare personaggi rilevanti come Hulk (che al cinema, ricordiamolo, è di proprietà Marvel mentre i diritti su Wolverine appartengono a Fox). Logan si è allontanato dal mondo dei super-eroi e cerca di stare lontano dai guai. Il suo fattore rigenerante funziona ancora, ma è comunque vecchio e malato, sbarca il lunario facendo l’autista, abita nel deserto e tiene nascosto il professor Xavier (un Patrick Stewart ancora più anziano e malandato di come lo abbiamo visto in Giorni di un futuro passato) in un bunker, per evitare che perda il controllo dei suoi poteri telepatici. L’incontro con una misteriosa ragazzina gli cambierà la vita, e l’eroe andrà incontro al suo destino trovando sé stesso e, forse, un erede.

“Volevo fare il film definitivo su Wolverine – ha detto l’attore in conferenza – quello che posso indicare ai miei nipoti quando mi diranno con quale film approcciarsi al personaggio. James è un grande storyteller e quindi non ci siamo posti il problema di cosa stavamo facendo, che fosse un western, un horror, o un film di super-eroi. Ci siamo detti ‘facciamo un film sulla famiglia’. E’ un regalo ai fan di Wolverine ma volevamo fare anche un film che potesse apprezzare chi non ha mai aperto un fumetto in vita sua”.

Qualcuno pone il problema della violenza grafica, e di alcuni elementi che solitamente non si vedono nei film di super-eroi, ad esempio la presenza di bambini (dotati di poteri speciali) che uccidono, ma il regista Mangold sa il fatto suo e risponde molto chiaramente: “Io penso che la censura esista per un motivo, e che sia giusto usarla come si deve. Questo, semplicemente, non è un film per bambini. Non importa che sia tratto da un fumetto. Possiamo farci mille domande: nel mio film non succede niente di più violento di quello che succede in tante serie televisive. E allora magari quando ci sono i bambini va spenta la tv. E ancora, in film che non sono ‘R’ muoiono un sacco di persone, magari cadono dai palazzi, ma non le si vedono sanguinare e allora va bene. Io in questo caso volevo mostrare gli effetti della violenza. Nel mio film la gente muore davvero, e non torna indietro. Ma questo secondo me sposta il fulcro dell’attenzione dal problema, che non è decidere di fare o non fare film violenti, ma di decidere cosa tuo figlio può vedere e cosa no. E questo non è il mio lavoro, è quello dei genitori. Il mio lavoro è fare qualcosa di interessante. E volevo avere la libertà di un film che parlasse di violenza, di paternità, di famiglia senza dovermi preoccupare di metterci per forza un personaggio per poter poi vendere le action-figure. Quello che posso dire è che un conto è guardare un film e un conto è girarlo. Abbiamo lavorato con i bambini mettendoli a loro agio e facendoli sentire circondati di affetto. Non abbiamo mai avuto dubbi su che tipo di film faree la produzione ci ha supportati, anche se abbiamo cambiato una formula. Dafne Keen è una piccola straordinaria attrice e conosce bene la differenza tra la recitazione e la realtà”.

“Ed è una ragazza straordinaria di cui sono orgoglioso – commenta Jackman – del resto, interpreto Wolverine da diciassette anni. E’ il mondo stesso a essere cambiato, nel frattempo, e ad essere più violento. Ho iniziato da giovanissimo e tremavo all’idea di recitare davanti a colossi come Ian McKellen o Patrick Stewart, ero a malapena degno di parlarci”. Interviene anche Stewart, con la sua flemma britannica, sembra avere qualcosa di importante da dire: “Mi devo scusare a nome del mio paese che ha votato a favore della Brexit. Un errore madornale e un mistero, ma in moltissimi non l’hanno votata. E se i risultati sono questi è perché hanno mentito alla Nazione. Il mondo cambia e a volte i film che abbiamo fatto hanno anticipato degli eventi che non potevamo prevedere, è la cosiddetta ‘serendipità’”.

Sui rapporti tra film e fumetto: “Li colleziono – dice Mangold – e li conosco molto bene. Chiaramente nel film ci sono elementi di saghe note come ‘Old Man Logan’ e ‘Innocence Lost’, ma è molto importante capire che il cinema è diverso da quello che immagini da solo nella tua stanza quando leggi i fumetti. Devi vedere la realtà e applicare le regole a quella”. E’, probabilmente, l’ultima volta che vedremo Jackman in questo ruolo sullo schermo, anche per sopraggiunti limiti di età (nonostante una forma fisica invidiabile, considerato anche l’inconveniente di un tumore al naso molto recidivo, che fortunatamente è stato preso in tempo e che l’attore sta curando, ma preferisce tenere poco visibile evitando i contatti troppo ravvicinati con le telecamere): “E’ talmente tanto che interpreto questo personaggio che credo non andrà mai via. Farà sempre parte di me, me lo ricorderanno i fan e me lo ricorderò io. L’ho fatto in tanti film, alcuni sono riusciti meglio, altri peggio, non do la colpa a nessuno, a volte è dipeso da me, a volte dalle circostanze, ma stavolta non ci siamo preoccupati della censura, del marketing o dei capitoli precedenti, abbiamo solo pensato a fare un grande film. Stavolta è quella che completa il percorso, ed è un percorso di cui sono felicissimo”.

Andrea Guglielmino
17 Febbraio 2017

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