Guido Chiesa: “Oltre l’attimo fuggente”

Studenti e professori hanno visto insieme ai giornalisti Classe Z di Guido Chiesa, storia di una classe di ripetenti e ribelli che trova il suo modo di studiare


Il cinema va a scuola. Non tanto per dire, ma proprio sul serio. Con appuntamento nella palestra del Liceo scientifico Kennedy, al Gianicolo, per studenti e professori che hanno visto, insieme ai giornalisti, Classe Z di Guido Chiesa. Una scelta inedita, organizzata dalla produzione insieme ad Alice nella città e Fondazione Cinema per Roma, ma perfettamente giustificata dai temi del film: la difficoltà di essere allievi oggi, in un mondo più virtuale che reale, e dove sono saltati quasi tutti i modelli educativi tradizionali. Un film che strizza volutamente l’occhio ai ragazzi e infastidisce i docenti, che si sentono, giustamente, un po’ messi alla berlina. “Il progetto nasce dall’incontro con Scuola Zoo – racconta il regista torinese – un portale di successo che riesce a raccontare ansie e paure dei giovanissimi, ma anche capace di denunciare il professore che dorme in classe postando un video cliccatissimo”. Un film “ad altezza ragazzi”, come lo definisce orgogliosamente. E si capisce che l’idea è venuta alla Colorado, la società di Maurizio Totti e Alessandro Usai, mentre a distribuire in sala, dal 30 marzo, sarà Medusa.

“La scuola – dice ancora Chiesa – non sviluppa i talenti. Ho due figlie che vanno al liceo e come padre mi sono fatto una certa idea della scuola. La voglia di studiare è poca, ma forse non hanno tutti i torti. C’è la prof d’inglese che non sa l’inglese, magari non è colpa sua, ma è grave”.

Ecco allora la storia di una “Classe Z”, una sorta di classe differenziale in cui un preside manager (Alessandro Preziosi) decide di relegare gli elementi di disturbo con l’intenzione, non tanto velata, di bocciarli a fine anno. C’è Ricky, che orchestra scherzi pesanti per postarli su YouTube, e Viola, intelligente ma polemica; c’è la bambola sexy che pensa solo all’outfit, e l’erotomane che ha il chiodo fisso del sesso; i gemelli cinesi inseparabili e l’impenetrabile che quasi non parla… Loro unica salvezza: capire che il giovane professore idealista (Andrea Pisani) che cita L’attimo fuggente ha qualcosa di diverso dagli altri. “In realtà – aggiunge il regista, autore di film impegnati come Il partigiano Johnny e Lavorare con lentezza ma più di recente passato alla commedia – raccontiamo un fallimento, la storia di un giovane insegnante con la voglia di rivoluzionare che si è ispirato, come tanti, al professor Keating, un film che ha rovinato intere generazioni di professori. Tanti post-sessantottini si sono immedesimati in quella storia che in fondo porta a un suicidio, mentre quello che conta davvero è guardare i ragazzi negli occhi, conoscerli”. Un compito che forse spetterebbe alle famiglie, totalmente assenti dal racconto di Classe Z o comunque relegate sullo sfondo, con genitori assenti o che non comprendono, e addirittura ostacolano, i desideri dei figli. 

“La mia passione per il cinema la devo a un insegnante – prosegue Guido Chiesa – dovevo fare agraria, per volontà di mio padre, ma in quinta liceo mi incaricarono di organizzare un cineforum. Si impara non necessariamente attraverso i programmi didattici”. Per Antonio Catania, che ha il ruolo del dirigente scolastico: “la scuola non è un parcheggio, ma dovrebbe essere un luogo dove crescere e maturare”. Interviene Alessandro Preziosi: “Ho due figli, di 21 e 10 anni e credo che il preside Frigotto, il mio personaggio, in fondo non abbia tutti i torti, ci sono troppi 10 nella scuola di mia figlia, il voto alto diventa un dato di fatto, gli insegnanti sono amici degli alunni e questo non depone bene. Ricordo positivamente la severità dei miei prof. Se la scuola superiore è un diritto, è un diritto che bisogna riuscire a conquistarsi”.

Curioso il cast, con attori accanto a personaggi che vengono dal mondo del web: Andrea Pisani, Greta Menchi, Enrico Oetiker, Antonio Catania, Alice Pagani, Luca Filippi, Armando Quaranta, Francesco Russo, David e Johnny Zheng, il Pancio, Roberto Lipari. Un modo per acchiappare pubblico giovane, a cui il film si rivolge dichiaratamente. “Volevo fare un film credibile, alzando l’asticella, una commedia per ragazzi che fa ridere ma dice anche qualcosa di serio – racconta Chiesa – ai provini chiedevo di raccontare la loro vita, il rapporto con i genitori, il ricordo più bello e quello più brutto dell’adolescenza. Tutti sono molto simili al loro personaggio e ho anche utilizzato alcune storie che ci hanno raccontato”.

Non manca una riflessione sul mondo della rete: “Il grande problema dei giovani oggi è l’individualismo e la solitudine. Mia figlia, che non va molto bene a scuola, non studia mai con i compagni di classe, ma da sola. Questo mi ha colpito. Bisogna imparare a fare gruppo”. Ed è un po’ la morale del film. Anche se il fare gruppo non ha nulla a che fare, per questa generazione, con l’impegno: “Ai nostri tempi gli studenti protestavano, facevano politica. Ma l’ideologia ci divideva e a volte ci si ammazzava anche. Sono contento che quei tempi siano finiti. Il web, che alimenta l’individualismo, è anche l’occasione per creare reti e denunciare certi fatti. Non sono contrario ai social, dipende da come li usi”, conclude Chiesa. 

Tocca al produttore Alessandro Usai riassumere il senso dell’operazione: “Parlare ai giovani è la cosa più difficile. Pochi film italiani hanno successo con questo target. Film sulla scuola ce sono, ma sembrano rivolti più ai genitori che ai ragazzi, noi proviamo a ribaltare questa cosa”. 

Cristiana Paternò
23 Marzo 2017

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