“Promised Land”, la parabola di Elvis e l’avvento di Trump

Eugene Jarecki ha annusato gli umori degli Usa a bordo della Rolls Royce appartenuta a the King


CANNES – La parabola di Elvis Presley come una metafora. Secondo il regista Eugene Jarecki, che ha portato al Festival di Cannes come evento speciale Promised Land, l’avventura di quel ragazzino talentuoso di provincia diventato un Re destinato all’autodistruzione può raccontare molto degli Stati Uniti di oggi, nati Repubblica e diventati impero. Mentre il mondo seguiva con trepidazione l’evolversi delle elezioni presidenziali americane, Jarecki si imbarcava in un road movie a bordo della Rolls Royce appartenuta a Elvis per incontrare un’ampia varietà di suoi connazionali – famosi, come Ethan Hawke o Ashton Kutcher, oppure sconosciuti – e intercettare il sentimento di delusione di fronte a un futuro incerto e alla crisi esistenziale di un Paese intero. Un American Dream interrotto e, anzi, diventato un incubo che, secondo il regista, ha preso il volto di Donald Trump.

Jarecki, qual è stato il punto di partenza di questa avventura?
In quanto regista faccio tanti chilometri con la telecamera in spalla e durante uno dei miei viaggi in giro per l’America non ho potuto fare a meno di notare che il Paese è, prima di ogni altra cosa, attanagliato dalla nostalgia, dalla sensazione che ci siano stati tempi migliori. C’è il senso di una promessa che era nell’aria ma non è stata mantenuta. In Italia nessuno ha mai promesso il Sogno Italiano, invece in America c’è lo spettro dell’American Dream. Quando prendi un caffè in Italia chiacchieri dando per scontato che il governo è corrotto, i cittadini sanno chi sono e non si aspettano moralità dal sistema. Ciò che è unico nel sistema americano è che la sua fondazione prometteva moralità e dignità, e gli americani ora sentono che sta crollando ciò in cui hanno creduto. Poi mi sono ricordato della canzone di Elvis dal titolo Promised Land, e ho realizzato che tutto ciò che pensiamo di Presley vale anche per il Sogno Americano.

L’ascesa e la caduta di Elvis, e dell’America. Qual è stato il punto di svolta?
Non sono qui per dire che l’America non rappresenta cose belle per il mondo e per le persone. Abbiamo avuto battaglie straordinarie e romantiche per i diritti umani, l’integrità e la dignità. C’è una grande eredità nell’esperimento americano, molto importante per la storia dell’umanità, il problema è che, nel tempo, è stato permesso al capitalismo moderno di invadere la democrazia, di rapirla. Ora viviamo in un paese con una democrazia sequestrata. Il messaggio è che se l’1% della popolazione è più ricco del restante 99% è colpa tua, perché hai votato per questo.

Nel documentario dice che Elvis è la voce del suo Paese “per il meglio e per il peggio”…
Rappresenta il meglio di noi nell’essere un povero ragazzo di campagna i cui sogni non vengono soffocati come sarebbe accaduto in un contesto sociale diverso, dove nessuno avrebbe saputo nemmeno dell’esistenza di questo ragazzo così talentuoso. E’ vero quindi che l’America permette alle persone di emergere, ma non vale ugualmente per tutti. Elvis avrebbe avuto lo stesso successo se fosse stato nero? Certamente no, le maglie in quel caso sono molto più strette. Elvis rappresenta il successo nato dal nulla, dalle persone e per le persone, ma la sua caduta sotto gli impulsi capitalistici rappresenta anche il lato oscuro di tutto ciò. E’ incredibilmente simbolico di ciò che siamo.

Presley quindi racconta molto anche della questione razziale…
Che fosse o meno nelle sue intenzioni, Elvis appare negli anni ’50 ed è 10 anni avanti rispetto al movimento per i diritti civili, è un radicale dal punto di vista razziale, sessuale e sociale. E’ un ragazzo del sud completamente a suo agio nel cantare e ballare come un nero e nel mostrare un grande appeal sessuale, che apparteneva anch’esso alla mitologia sui neri. Era visto da molti come un agente segreto dei neri, un lupo travestito da pecora.

E come si è sprofondati nell’Impero?
Siamo arrivati a un punto di rottura in cui tutto andava a beneficio dei leader e a detrimento delle masse e dell’integrità della promessa americana. E’ come se le persone si fossero trovate in una relazione oppressiva e si fossero dette “ora mi metterò con il prossimo che varca quella porta”, intendendo che avrebbe votato per chiunque fosse contro il sistema, si trattasse di Bernie Sanders o Donald Trump. Per l’opinione pubblica erano entrambi diversi, fuori dal sistema, ma tra loro c’è una differenza che si conta in miliardi di dollari e in molto potere.

Michela Greco
22 Maggio 2017

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