Vincent Lindon: “Per Rodin ho imparato a scolpire”

L'attore, premio per l'interpretazione lo scorso anno, è protagonista di Rodin, il film di Jacques Doillon dedicato alla figura del grande scultore francese


CANNES – Prendono forma e vita le opere di Auguste Rodin (1840-1917) nel film di Jacques Doillon sullo scultore considerato tra i più grandi, “il migliore, insieme a Michelangelo”, come dice Vincent Lindon. Che nel ruolo, con tanto di barbone ieratico, si è calato con impegno titanico, forse degno di miglior causa. Non è una biografia tradizionale (anche se alla proiezione stampa qualcuno alla fine ha gridato “cinema vecchio”), ma piuttosto un tentativo di “riportare la bestia in vita” nato dalla proposta di un documentario per il centenario della morte dell’artista e sviluppatosi attraverso una finzione ricca di elementi storici ma che vuole essere innanzitutto evocativa del making of artistico.

incontriamo Rodin che ha già quarant’anni – siamo nel 1880 – e sembra essere a una svolta della sua carriera. Gli è stata affidata la prima commessa pubblica con la richiesta di realizzare La Porta dell’Inferno, un’opera ispirata alla Divina Commedia di Dante destinata ad essere l’ingresso di un nuovo Museo di arti figurative a Parigi (una porta mai realizzata ma a cui lavorò tutta la vita). L’uomo è assistito da un’allieva, la giovane Camille Claudel (Izia Higelin), che ha vent’anni meno di lui, viene da una buona famiglia (il fratello Paul è scrittore e diplomatico) ed è una promettente scultrice, oltre che una intemerata ribelle. Tra i due c’è un’evidente tensione erotica e infatti ben presto li vedremo diventare amanti. 

Il film porta avanti in parallelo questi due nuclei tematici: la relazione, sempre più difficile, con Camille, che vorrebbe sposare Auguste e mal sopporta la presenza di una rivale, la contadina Rose (la Séverine Caneele scoperta da Bruno Dumont qui a Cannes 18 anni fa) che finirà per diventare Madame Rodin ma solo più avanti negli anni, e il lavoro artistico, in particolare il rovello per la statua di Balzac, rifiutata dai committenti, cioè dalla Société des Gens de Lettres perché evidentemente irriverente (inizialmente lo scrittore era ritratto nudo e con l’enorme ventre simile a quello di una donna incinta, in seguito con un pastrano indosso ma con il corpo sempre deforme).

Riguardo a Camille, Doillon vuole dare una nuova lettura della sua figura, già approdata al cinema con Bruno Nuytte nel 1988 (c’era Isabelle Adjani nel ruolo della tormentata artista morta in manicomio) e più di recente nel film di Bruno Dumont con Juliette Binoche, Camille Claudel 1915: qui, più che una vittima dell’egoismo dell’uomo, è una donna consapevole, in cerca della sua autonomia artistica, profondamente infelice non perché non amata ma perché non riconosciuta come artista.

D’altra parte il 73enne regista francese si concentra in particolare sul metodo di lavoro e sulla poetica di Rodin, poetica dell’incompiuto che si nutre del materiale meno nobile, cioè la creta, proprio per il suo rapporto materico e fisico con un’arte in perenne divenire. Una fisicità ben resa dal protagonista Lindon ed evidente anche nel rapporto dello scultore con le donne: oltre a Camille e Rose, le tante modelle e allieve transitate per il suo atelier. Mentre non mancano le apparizioni di intellettuali dell’epoca: Victor Hugo, Claude Monet, Octave Mirbeau, Paul Cézanne e Rainer Maria Rilke.

Lindon, miglior attore protagonista a Cannes 2016 per La legge del mercato, rivela di aver dovuto imparare a scolpire: “Il film è costruito con lunghi piani sequenza, quindi era impossibile barare. Dovevo sporcarmi le mani, non staccare gli occhi dalle modelle e dall’opera, proprio come avrebbe fatto Rodin”.  

Cristiana Paternò
24 Maggio 2017

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