Alfonso Cuaron, lezione di cinema libero

Il regista si è raccontato con generosità davanti a un pubblico molto partecipe, dagli inizi all'amicizia con Inarritu e Del Toro, passando per la chiamata di Hollywood


CANNES – “Ci tengo a ringraziare il Festival di Cannes per avermi coinvolto nella celebrazione dei suoi 70 anni, ero circondato da veri maestri. Non so quanto Cannes ami il cinema messicano, di sicuro ama il nostro modo di fare festa”. Dopo Clint Eastwood, al Festival di Cannes, la lezione di cinema è toccata ad Alfonso Cuarón, regista messicano premio Oscar per Gravity per cui la sala Bunuel si è riempita nel giro di pochissimo, lasciando a bocca asciutta moltissimi fan rimasti fuori. Per chi c’era, è valsa decisamente la pena di ascoltare oltre due ore di storie di cinema, vita e amicizia di uno dei più importanti cineasti contemporanei, che si è raccontato con generosità davanti a un pubblico molto partecipe, mentre e’ di circa un mese fa la notizia che Cuaron ha terminato le riprese del suo nuovo film Roma. Ambientato a Citta’ del Messico negli anni ’70, racconta un anno nella vita di una famiglia middle-class.

Sollecitato dal decano della critica francese Michel Ciment, Cuarón ha cominciato dal principio: “All’inizio della mia carriera ho fatto di tutto, dal microfonista all’assistente alla regia, ho avuto il mio primo figlio a vent’anni e il mio primo pensiero era guadagnare abbastanza per sostenere la famiglia”. Per questo motivo con l’amico Emmanuel Lubezki, (detto Chivo, direttore della fotografia da Oscar) ha rincorso uno stile visivo che lo ingabbiava, prima di trovare il suo stile.

Decisiva, nella carriera di Cuarón, è stata l’amicizia e l’influenza dei connazionali Alejandro Gonzalez Inarritu e Guillermo Del Toro, che ha prima studiato, poi invidiato, infine criticato conquistandone la fiducia. La prova di esordio l’ha data con l’acclamato Uno per tutte, che affronta con leggerezza argomenti come il suicidio e l’Aids, poi è arrivata la chiamata a Los Angeles di Sydney Pollack. “Lì sono finito nel limbo di progetti che venivano preparati ma non vedevano mai la luce, ero pagato, potevo mantenere la mia famiglia ma non facevo il mio cinema. Ancora non so come sono riuscito a convincerli a farmi dirigere La piccola principessa, il film di cui J.K. Rowling si è innamorata. Anni dopo ha deciso di affidarmi Harry Potter”. Di quella fase fa parte Paradiso perduto con Ethan Hawke e Gwyneth Paltrow, un film di cui dice: “Sono grato di averlo fatto, ma l’ho fatto per le ragioni sbagliate, soprattutto perché ero senza soldi e gli studios mi hanno sedotto mandandomi a cena con Bob De Niro. Ero diventato un impiegato del cinema”. 

Poi è arrivato il ritorno alla “purezza” con l’exploit di Y tu mama tambien, “che racconta il passaggio all’età adulta di due ragazzi, ma anche del nostro paese che in quel momento viveva le prime elezioni e otteneva la cosiddetta ‘democrazia’ che abbiamo oggi”. Con quell’opera – amatissima – Cuarón andò alla Mostra di Venezia e, sulla via del ritorno con dei premi in tasca fu sorpreso dall’11 settembre. “Sotto choc cominciai a scrivere I figli degli uomini”. Il film futuristico con Clive Owen ebbe però una gestazione molto lunga, e prima arrivò Harry Potter, di cui Cuarón ha diretto il terzo capitolo. Infine il cineasta messicano non può non parlare di Gravity e del suo enorme successo: “Mi sono ritrovato a dover montare in fretta un qualcosa di nuovo, ho chiamato mio figlio Jonas che ha messo insieme la storia di Gravity in nove ore: volevo un film che qualcuno avrebbe potuto comprare ma allo stesso tempo che io avevo voglia di girare”. Ecco il semplice segreto di un regista che sa affermare il suo sguardo d’autore mentre accontenta le esigenze di un pubblico ampio e affamato di spettacolarità.

Mi. Gre.
25 Maggio 2017

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