Polanski e l’ossessione per la verità

E’ tra i film più apprezzati del festival quello presentato fuori concorso da Roman Polanski, Based on a True Story. Tratto dall'omonimo romanzo di Delphine de Vigan e con la collaborazione di Olivie


CANNES – E’ tra i film più apprezzati del festival quello presentato fuori concorso da Roman Polanski, Based on a True Story, annunciato l’anno scorso proprio a Cannes. Un film nato dalla collaborazione con Olivier Assayas, che ne ha firmato la sceneggiatura: “Mi è molto piaciuto far parte dello staff di Roman, in questo film ho messo me stesso al servizio della sua visione cinematografica”.  Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Delphine de Vigan, rispetto al quale rimane sostanzialmente fedele. “Merito di Assays, sottolinea Polanski, che è riuscito a comprimere nella sceneggiatura un libro di cinquecento pagine, e niente è andato perduto”. Un atteggiamento, quello della fedeltà al materiale originale, tipico di Polanski che rivela di essere stato durante l’infanzia spesso deluso dagli adattamenti cinematografici dei suoi romanzi preferiti, in cui magari proprio i personaggi più amati scomparivano, tanto da riproporsi per la sua carriera futura di rimanere sempre fedele alle storie originali.

Al centro del racconto la crisi creativa e personale di una scrittrice di successo, interpretata dalla moglie di Polanski, Emmanuelle Seigner, autrice di un romanzo dedicato alla madre che è diventato un best-seller. Tormentata da lettere anonime che l’accusano di aver dato la sua famiglia in pasto ai leoni, e in pieno stallo creativo, incontra una giovane donna, Eva Green (Sin City), affascinante ed intelligente ghostwriter che sembra capirla meglio di chiunque altro. Ma man mano che si fa strada nella sua vita, i dubbi su di lei aumentano. “Non ho voluto definire il carattere di questo personaggio che ho lasciato ambiguo – spiega Polanski. Non si sa mai se è o meno un personaggio reale, lascio che sia il pubblico a deciderlo”. A chi chiede, poi, al regista com’è lavorare sul set con sua moglie che ha diretto più volte: “Più facile che viverci insieme”, risponde scherzando. “Abbiamo da sempre sul set una relazione molto professionale, e non ho trovato diverso lavorare con Emanuelle piuttosto che con Eva. Sul piano personale la tentazione per un regista è continuare a dirigere la propria attrice anche nella vita. Ma quando torno a casa dimentico il set e voglio parlare d’altro”. Ed è stata proprio Emmanuelle a proporre a Polanski questa storia in cui, per la prima volta nel suo cinema, sono due donne le protagoniste di un confronto ambiguo che ha affascinato subito Polanski. “Appena ho letto il libro ho pensato che fosse un materiale interessante per Roman e gliel’ho proposto. Ma non sono io la sua fonte d’ispirazione, al contrario è lui la mia”.

Rispetto all’ossessione del pubblico per il racconto della realtà, il regista la ritiene un desiderio amplificato dal continuo bombardamento elettronico che sovraespone tutti alla visione delle vite degli altri. Un appetito dell’audience per la verità che definisce “ambiguo, perché la realtà di un contenuto può essere manipolata, ed esaltato dal fatto che un semplice gesto, come pubblicare una foto, ha la potenzialità di cambiare le sorti di una nazione grazie all’enorme eco della rete”. Ma in internet e nelle sue modalità distributive al centro delle polemiche tra festival e Netflix,  Polanski non vede un nemico da combattere: “Le persone continueranno comunque ad andare al cinema perché è un’esperienza unica di condivisione, e il desiderio di condividere fa parte dell’essere umano. La diffusione del walkman non ha distrutto l’industria dei concerti e così accadrà per il cinema. È diverso vedere Borat da soli a casa piuttosto che in una sala avvolti dalle risate degli altri spettatori”.

Carmen Diotaiuti
27 Maggio 2017

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