Corniche Kennedy: l’adolescenza che dura un tuffo

Esce il 15 giugno con Kitchenfilm il film di Dominique Cabrera, tratto dal romanzo di Maylis De Keranga


Esce il 15 giugno con Kitchenfilm Corniche Kennedy di Dominique Cabrera, tratto dal romanzo di Maylis De Kerangal. Corniche Kennedy è una strada di Marsiglia, che costeggia le acque del Mediterraneo e le ville più lussuose. Qui sette adolescenti, per lo più di periferia e dal passato problematico, sfidano le leggi di gravità, e la morte, tuffandosi dalla scogliera sopra il litorale. Dalle finestre della sua abitazione chic, Suzanne li osserva in silenzio: desidera essere con loro e farà di tutto per riuscirci.

“Ho sempre avuto voglia di fare un lungometraggio ambientato a Marsiglia – dice Cabrera – E’ una città che adoro. Ci vado spesso e da tanti anni. Io sono una francese rimpatriata dall’Algeria, un cosidetta ‘pied noir’, lì ritrovo l’eco del mio paese d’origine e dalla mia infanzia. Quando vado lì sogno le storie individuali di quelli che incrocio, come se fossero leggenda che si intrecciano a storie personali. Cercavo una storia ubicata lì e tra le tante che ho letto Corniche Kennedy mi ha sedotta. Lo sguardo del romanzo sugli adolescenti di periferia, i ‘minots’, si apre su una dimensione poetica e mitologica. Mi sento vicina a quella percezione delle cose. Per prepararmi sono andata ad abitare a Marsiglia e un giorno ho visto proprio un gruppo di ragazzi nel luogo dove pensavo di girare il film. Mi sono avvicinata, ma quando ho cercato di fotografarli si sono infastiditi. Poi ci siamo spiegati. Hanno capito che non volevo fare un casting mascherato, ma che avevo bisogno di conoscere le loro storie. Hanno detto: “Ok, ti aiutiamo”. Così abbiamo sviluppato insieme il copione. Tra di loro c’erano Alain e Kamel, che nel film interpretano Mehdi e Marco. Alain non voleva. Diceva ‘sono una capra, sono dislessico. Ma ti farò tutti i salti che vuoi’. Ma quando lo ascoltavo mi scioglievo. Aveva una natura eroica e infantile, una testa calda. Sono tutti giovani marsigliesi che conoscono l’arte del tuffo e dell’immersione. E’ stato più facile insegnare a loro a recitare che fare il contrario. Accettare il rischio è un modo per sentirsi vivo, per sentire la propria vita in azione. Io ero preoccupata ma i ragazzi erano già abituati a tuffarsi, per loro era un piacere”.

Andrea Guglielmino
08 Giugno 2017

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