Granma, un rap per i migranti

Un soggetto di Gianni Amelio è diventato un film di 35' per raccontare agli africani la realtà delle migrazioni clandestine: Granma, di Daniele Gaglianone e Alfie Nze, che sarà presentato a Locarno


Un rap per chi sfida la morte alla ricerca di una vita migliore, “when walking on sea be de only way, walking on desert be de only way”. Così inizia Granma, un film di 35′ per raccontare agli africani la realtà delle migrazioni clandestine. Da un soggetto di Gianni Amelio, i due registi – Daniele Gaglianone e Alfie Nze – hanno tratto il lavoro che sarà presentato a Locarno e che fa parte della campagna di sensibilizzazione Aware Migrants. In attesa di vederlo in anteprima nel Festival svizzero, alcuni minuti del girato e il videoclip della canzone “Challenging Death” sono stati proposti ai giornalisti nel corso di una conferenza stampa a cui hanno preso parte anche Carmelita Ammendola, viceprefetto responsabile delle relazioni internazionali del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, e Giulia Falzoi, capo unità Migration Management dell’Oim per il Mediterraneo.

Girato in Nigeria, tra Lagos e il villaggio di Badagry, il film si apre sulla notizia della morte di un cugino del giovane protagonista, un rapper. Ora dovrà accompagnare la nonna in un viaggio attraverso il suo paese e scoprirà la realtà amara che si nasconde dietro questa perdita.

“Quando Gianluca Arcopinto, il produttore esecutivo, mi ha parlato di questo progetto – racconta Gaglianone, autore di film come Ruggine e Nemmeno il destino e attento documentarista – mi è sembrato un segno che il soggetto fosse stato scritto proprio da Gianni Amelio, con cui avevo collaborato per Così ridevano, girato a Torino molti anni prima. Così mi sono trovato per la prima volta in Africa, lavorando con una troupe nigeriana e con il co-regista Alfie Nze: senza di lui non sarebbe stato neppure pensabile muoversi in una realtà complicata come quella di Lagos”. Per il cineasta di origini nigeriane ma naturalizzato italiano, attivo soprattutto in teatro e autore del mediometraggio Il diavolo arriva a Koko: “In Italia si parla del fenomeno della migrazione, come se fosse una cosa passeggera, perché la parola ‘fenomeno’ suggerisce questo, ma i movimenti delle persone non si fermeranno mai. I ragazzi partono per cercare lavoro e le famiglie spendono 4/5mila euro per pagare quel viaggio. Con quella cifra potrebbero prendere la prima classe invece si ritrovano nelle mani dei trafficanti che li brutalizzano e spesso li uccidono. In Africa si sa poco di tutto questo, quindi il film ha una funzione informativa, ma per me è anche un progetto molto personale, perché di mio fratello, partito nel ’94, non ho più avuto notizie”. 

Il film, come spiega Carmelita Ammendola, si inserisce all’interno del più ampio progetto Aware Migrants, una campagna digitale rivolta ai cittadini di 16 Paesi africani con tante testimonianze, in video o audio, di persone che ce la fanno fatta ma anche con storie negative e drammatiche. Giulia Falzoi aggiunge: “Non vogliamo dissuadere le persone dal partire, ma far sapere che il viaggio non è quello che viene pubblicizzato dai trafficanti, espone al rischio di mille abusi e violenze, persone che non sanno neanche nuotare vengono fatte salire su barche senza motore e minacciate di morte se rifiutano”. 

Daniele Gaglianone sintetizza così lo spirito del film: “Vuole raccontare lo stato d’animo insondabile che c’è dietro la decisione di partire”. Quindi lancia una riflessione più generale: “Il fenomeno della migrazione è il risultato di un sistema dominante che non permette alle persone di muoversi liberamente. Perché mio figlio può andare a Parigi o Londra e un ragazzo nigeriano non può viaggiare? E’ un sistema profondamente ingiusto”. 

Cristiana Paternò
04 Luglio 2017

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