Il lato maschile di Fanny Ardant

La musa di François Truffaut interpreta Lola, transgender che riscopre la paternità


LOCARNO. Non c’è prova più difficile per un’attrice dell’interpretare un uomo che è diventato donna. Non si è tirata indietro di fronte a questa sfida Fanny Ardant, la musa di François Truffaut oggi a Locarno per presentare, insieme al regista Nadir Moknèche e al cooprotagonista Tewfik Jallab, Lola Pater, film pensato per il pubblico di Piazza Grande nel secondo giorno di festival. Il titolo raccoglie già in sé i termini della storia: da un lato infatti c’è un “pater”, un padre che dopo molti anni desidera rivedere il figlio abbandonato quando era solo un bambino, dall’altro c’è Lola, la bellissima donna in cui questo padre, che prima si chiamava Farid ha voluto trasformarsi nel corso degli anni, perché imprigionato in un corpo che non gli apparteneva.
È la morte improvvisa della moglie, lasciata insieme al figlio Zino, a fare incontrare Farid e la sua vecchia vita; una vita volutamente dimenticata e rimossa ma che il destino, seppur dopo molti anni, gli ripresenta come un debito mai saldato. Lola lascia dunque la sua quotidianità, costruita con fatica (insegna danza del ventre e ha una compagna con la quale convive da anni) per compiere, completamente sola, un viaggio a ritroso nel suo passato, un passato doloroso e difficile ma la cui riscoperta gli permette di trovare il coraggio per accettarsi fino in fondo e tentare senza più vergognarsi di riprendere il rapporto bruscamente interrotto con suo figlio.
La forza incredibile di Lola vincerà tutte le riserve di Zino per mettere finalmente un punto alle loro esistenze sospese.

La figura di Lola è il centro e il motore del film, la fonte di energia che muove tutti gli altri personaggi; e la macchina da presa infatti sembra respirare con lei, pronta a cogliere sul suo viso ogni singola espressione, ogni piccolo e repentino cambiamento. A dare corpo a questo personaggio ricco di sfumature e di contraddizioni, come dicevamo, è Fanny Ardant, che propone una prova attoriale di altissimo livello, dimostrando, attraverso la sua interpretazione, non solo di essere un’attrice straordinaria ma anche di aver amato e conosciuto in profondità la sua Lola: “Sì – ammette l’attrice, felice di poter parlare in italiano – ho adorato questo personaggio; è un misto di vulnerabilità e fantasia, di passione ed energia, mi ha conquistato già dalle prime pagine della sceneggiatura. Lavorare su Lola-Farid mi ha permesso di esplorare la differenza fra il sentimento materno e quello paterno, per arrivare ad affrontare in tutta la sua complessità il tema dell’emotività”.

Ma è evidente che il lavoro dell’Ardant sul suo personaggio passi prima di tutto attraverso la fisicità, la creazione di un corpo di uomo che si trasforma in donna all’interno di un fisico realmente femminile e ancora straordinariamente bello. L’attrice, si vede, non teme la metamorfosi e anzi si abbandona alla macchina da presa, che riprende e sottolinea i suoi dettagli più maschili: la voce bassa, esasperata ma sempre credibile (che sembra ricordare quella della famosa icona transgender Amanda Lear) le sue mani e i suoi piedi grandi, il portamento altero e la sua figura sottile ma statuaria.

Ed è proprio pensando alla sua silhouette che Nadir Moknèche ha cercato da subito Fanny Ardant per questo ruolo: “La ricordo di profilo, avvolta in un impermeabile nel film Vivement dimanche! di Francois Truffaut. Mi è piaciuta subito moltissimo questa immagine ambigua, anche se la cosa che amo di più di lei è la grande somiglianza, anche in termini di energia e passione, con le attrici italiane – io adoro le attrici italiane! – così quando mi sono ritrovato a parlare della sceneggiatura con mia madre e lei senza esitazione, mi ha detto: Fanny Ardant, l’ho preso come un segno. E non mi sono sbagliato”.

Sulla genesi di Lola Pater è ancora il regista a parlare, sottolineando come molta parte della sua vita sia contenuta in questo film, sia perché la storia è in parte autobiografica (“Ho perso mio padre all’età di tre anni e mi sono sempre detto che avrei preferito avere un padre transgender ma vivo e al mio fianco piuttosto che morto”) sia perché è stata la conoscenza casuale di due persone che hanno cambiato sesso a ispiragli questa storia: “Era il 1987, ero uno studente, all’epoca residente nel quartiere Pigalle, a Parigi. Nel mio condominio abitavano due transessuali che ogni tanto intravedevo ma di cui non sapevo nulla, ma si capiva che ‘facevano la vita’. Un giorno uno dei due mi ha chiesto di poter venire a vedere la televisione da me. Si trattava dell’apertura di un processo molto famoso, quello di Klaus Barbie, il famigerato comandante della Gestapo a Lione durante l’occupazione nazista. Mi aveva colpito molto la richiesta e da quel momento siamo diventati amici. Non posso che ringraziare quell’incontro perché mi ha permesso, nel tempo, di capire molto di quel mondo, che per molti, soprattutto al cinema è percepito solo in maniera grottesca”.
Insomma, un tema scomodo, una storia molto intima e, soprattutto, una forza recitativa veramente non comune: questo, in poche parole, è quanto ci lascia la visione di Lola Pater.

Caterina Taricano
03 Agosto 2017

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