Getting Naked: l’anima del burlesque

Allegria e trasgressione alle Giornate degli Autori con il documentario di James Lester


VENEZIA – Allegria e trasgressione alle Giornate degli Autori con Getting Naked: A Burlesque Story di James Lester, documentario sulla scena Burlesque di New York che ci mostra questa forma d’arte soprattutto come un modo di vivere, incrocio di storie tra sconfitte e successi, tra scandalo e vita vera. “Naturalmente ho visto molti spettacoli – dice il regista – e semplicemente chiedevo alle performer che mi colpivano maggiormente di poterle filmare. Ma non mi sono limitato a scegliere quelle che funzionavano bene on stage. Ho inserito nel film solo le interviste con chi si apriva di più e offriva l’anima alla telecamera. Sono sempre stato interessato all’ambiente dello spettacolo. Mio padre è un musicista jazz e frequentava i locali e i night, mia madre è pittrice, quindi sono sempre stato abituato ad avere gente nuda in giro per casa. Più sono andato avanti con il lavoro, più ho realizzato che stavo facendo un film sulle donne. Donne forti, indipendenti e artisticamente preparate.

Nel corso degli ultimi anni il Burlesque ha avuto un’esplosione di popolarità, lasciando spazio anche alle sue forme meno conosciute come il ‘boylesque’, realizzato da ballerini maschi. “Credo che la gente sia naturalmente attratta dalla nudità e dall’aspetto sexy – spiega ancora Lester – ma rispetto agli spettacoli erotici tradizionali ci sono alcuni elementi in più. C’è l’aspetto teatrale, che coinvolge gli spettatori e li fa sentire liberi, lasciando loro qualcosa di più. E non è uno spettacolo per soli uomini, anzi. Tutti possono apprezzarlo: donne, gay, etero, trans. Non c’è una forma fisica prestabilita o un’età specifica per essere un performer Burlesque, e questo attira molte persone, perché sentono che, idealmente, anche loro potrebbero farlo. Basta la preparazione, un costume, ma soprattutto le palle. Ci vuole il coraggio per salire su un palco e questa è forse l’unica prerogativa veramente richiesta. Durante gli screen test sia le teenager che le loro madri erano affascinate da questo mondo. Dopo lo spettacolo si sentono tutti appagati e felici. Oggi non è difficile realizzare un documentario, con un iPhone e un software di montaggio ce la puoi fare, ma non significa che sia buono. Devi comunque avere una troupe professionale e sono fortunato ad avere persone che mi hanno aiutato, anche gratis, a portare a casa il progetto. Io l’ho fatto in sei anni, con continui stop n’ go. Ma alla fine è stato un vantaggio perché proprio per questo motivo il lato umano ha avuto modo di sedimentare e poi venire a galla nel migliore dei modi.  Inoltre, non avrei mai immaginato di portarlo a Venezia. Il cinema europeo è il mio preferito e non c’era posto migliore dove poterlo presentare”.

Andrea Guglielmino
04 Settembre 2017

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