Micaela Ramazzotti e il dramma dei neonati venduti

'Una famiglia' di Sebastiano Riso è il secondo italiano a scendere in concorso. E il regista avverte: "Il tema non è l'utero in affitto ma l'inferno delle adozioni in Italia"


VENEZIA – Un film dalla doppia anima, la denuncia e il noir psicologico. Un film che parla di neonati venduti a chi non può adottare, perché la legge in Italia è estremamente restrittiva e di fatto limita la possibilità alle sole coppie eterosessuali, oltretutto sposate e con un reddito medio-alto. Ma anche la storia noir di un plagio psicologico dove una donna è costretta dal partner a mettere al mondo bambini per venderli. Cinquantamila euro è il prezzo di una creatura appena nata, che se poi è difettosa viene respinta dagli acquirenti. Una famiglia, secondo italiano in concorso a Venezia 74, ci mostra la straziante vicenda di Maria (Micaela Ramazzotti), una giovane donna che vive in simbiosi con Vincent (Patrick Bruel). Lui, più anziano di lei, la domina totalmente. Abitano in un loft in periferia in attesa dell’ennesima gravidanza… Mediatori senza scrupoli, tra cui anche un ginecologo, combineranno l’affare con le coppie sterili che possono vedere la gestante da lontano, a un tavolo di una ristorante, ma senza rivolgerle la parola o incontrarla. Né lei potrà poi rivedere il bambino. E tra i clienti ci sono anche due gay disposti a tutto per diventare genitori. 

“Il mio film – avverte il regista – non parla di utero surrogato, ma del rapporto di coppia tra un uomo e una donna, che vacilla quando viene a mancare la fiducia tra loro e quando Maria comincia a disobbedire”. Tuttavia Riso, già autore dell’apprezzata opera prima Più buio di mezzanotte, racconta il lavoro di documentazione fatto insieme agli sceneggiatori Andrea Cedrola e Stefano Grasso: “Grazie all’aiuto del procuratore Raffaella Capasso abbiamo potuto leggere molte intercettazioni e conoscere meglio le persone che fanno questo traffico di neonati. I dati sono piuttosto aleatori. La violazione dello stato di famiglia è infatti difficile da certificare e molti casi non vengono mai scoperti. Ma ad esempio in Campania, negli ultimi dieci anni, ci sono stati 56 casi accertati”. In comune, in tutte queste vicende, la presenza di un medico connivente che magari dà il consiglio di non abortire, di portare avanti la gravidanza per poi “aiutare” una famiglia che desidera tanto un bambino. Nel film questa figura è affidata Fortunato Cerlino.

Riso non nasconde di essere partito da uno spunto molto personale: “Io e il mio compagno non possiamo adottare, come tanti single del resto. In Italia non è possibile. Dovremmo andare all’estero ma io non voglio comprare un figlio. Lo Stato, discriminando le famiglie non tradizionali, porta all’illegalità. I criteri molto rigidi creano un mercato nero”. Ma c’è stata anche la spinta a denunciare il dramma di donne subalterne all’uomo. “Nella prima scena del film vediamo in fondo Zampanò e Gelsomina seduti uno accanto all’altra sulla metropolitana, si amano, ma in lei c’è già un senso di ribellione che poi maturerà”.
  
Per Micaela Ramazzotti: “Maria non ha nessuno al mondo oltre a quell’uomo, che per lei è un marito, un fratello, un amico, un amante, un padrone, un carceriere. È schiava di un progetto che non ha deciso ma ha accettato. È talmente innocente, buona e succube da diventare complice di un criminale. Quando manderà all’aria questo susseguirsi di sesso, gravidanze, espulsione del bambino, vendita, solo allora sarà libera. Tante donne subiscono le violenze perché sono innamorate e deboli, io mi trovo spesso a interpretare personaggi così, mi sento portavoce di queste madri disperate. Lei è una bambina che a malapena è madre di se stessa. Si abbraccia come per darsi forza, per tenere in grembo quel bambino che non ha mai avuto. Ma fin dalla prima scena sta meditando un progetto di emancipazione”.

Patrick Bruel, noto anche come cantautore, è stato scelto per i suoi occhi buoni che seducono facilmente giovani donne ingenue come Maria o come Stella (Matilda De Angelis), la nuova preda giovane e pronta a essere messa incinta. “Generalmente mi affidano figure positive – confida l’interprete francese – ma Sebastiano mi ha convinto a fare questo personaggio duro, nero, estremamente complesso. Non mi ha spiegato perché Vincent è così come è, ma io mi sono dato una spiegazione. Forse per lui il neonato è il simbolo della distruzione della famiglia, forse lui stesso è stato la causa di un disastro tra i suoi genitori”. 

“Nel film – aggiunge Riso – non ci sono buoni o cattivi. Anche la coppia gay che rifiuta il neonato perché ha una malformazione cardiaca ci impone una domanda: come mi comporterei io di fronte a quella situazione? Non abbiamo edulcorato la coppia omosessuale, non volevamo essere politicamente corretti ma dare un ulteriore elemento di riflessione”.  

Riso aveva già scelto Micaela Ramazzotti per il suo primo film. “Da allora – rivela l’attrice – non ci siamo più persi di vista. Sebastiano ha un entusiasmo verso di me che mi commuove. Il suo essere spericolato mi rende a mia volta spericolata. E’ il regista più libero con cui ho lavorato. Ha colto il mio lato primitivo e mi fa sentire brava, certe volte sul set mi sentivo come Meryl Streep, poi tornavo a casa e mi davo della scema…

Che accoglienza si aspetta per una storia che tocca temi tanto controversi e dolorosi, molto dibattuti? “Ogni film cambia a seconda di chi lo guarda – risponde il regista – Certo, Una famiglia non vuole essere rassicurante, ma, ripeto, non è un film sull’utero in affitto”. 

Prodotto da Indiana Production con Rai Cinema, il film uscirà in sala con la BIM il 28 settembre. Nel cast anche Pippo Delbono ed Ennio Fantastichini

Cristiana Paternò
04 Settembre 2017

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