Blade Runner 2049: la memoria del futuro

Il regista del film Denis Villeneuve racconta i temi salienti dell’attesissimo sequel del cult di Ridley Scott


Non delude il Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, attesissimo sequel – per la verità è più un ‘sidequel’ per la maggior parte del tempo – del classico sci-fi noir di Ridley Scott. Estende ed espande l’universo narrativo, propone nuove istanze, rovescia le prospettive, si prende il suo tempo, anche troppo – dura ben 163 minuti, contro i circa 117 dell’originale nei suoi vari ‘cut’ – ma alla fine trova la quadratura del cerchio riuscendo a inserire anche delle notevoli marcature autoriali nell’atmosfera rarefatta e cadenzata che ben conosciamo. Non c’è, e di questo gli va dato merito, quasi alcuna traccia di ‘fattore nostalgia’, la nuova trama è solida, è il protagonista ad essere diverso: l’agente K interpretato da Ryan Gosling non si è mai posto domande sul suo ruolo nel mondo, ha una fidanzata olografica che lo ama, programmata per farlo, e da lui ricambiata. Non è tormentato quanto Rick Deckard – Harrison Ford, che qui compare nella parte finale, regalando anche un’epico confronto/scontro, prima a cazzotti e poi a parole, con il suo potenziale erede – ma una sconcertante scoperta lo mette in condizione di ritrattare tutto ciò che conosce di sé e della realtà in cui si muove. Un mondo di trent’anni più avanti rispetto al 2019 del capostipite, devastato fisicamente da vari disastri ambientali e psichicamente da un blackout che ha cancellato ogni dato digitale. Un guizzo di sceneggiatura interessante, che da un lato permette di allineare l’universo di Blade Runner, creato molto prima che l’esistenza di una rete su scala mondiale fosse anche solo lontanamente concepibile, a quello reale, spiegando il motivo per cui lì, Internet, non esiste. Dall’altro aiuta la costruzione di una storia noir classica, dove il detective deve andare in giro e ‘sporcarsi le mani’ per raggiungere i suoi obiettivi e trovare le risposte alle domande che lo tormentano. 

Nel cast del film (152 minuti), in sala dal 5 ottobre con Warner Bros, anche Robin Wright, Sylvia Hoeks, Dave Bautista, Ana de Armas e Jared Leto. “Il tono è malinconico – dice Villeneuve – c’è il fumo e ci sono sentimenti profondi. Ci sono  i replicanti che vengono costruiti per rendere piacevole la vita delle persone sulle colonie vicine alla Terra, ma che a volte si comportano come il mostro di Frankenstein. Iniziano a comportarsi in maniera imprevista e dunque qui interviene la squadra speciale che ha il compito di sistemare le cose. Il mondo del 2049 è molto diverso dal nostro. L’oceano si è alzato, la città è protetta da un muro per contrastare l’avanzata delle acque. In più un impulso elettromagnetico ha causato la perdita di ogni dato in Internet, è un mondo molto più analogico. Per gli sceneggiatori la rete non è una cosa buona. E’ noioso vedere un poliziotto che dalla scrivania cerca indizi al computer, voglio che il mio protagonista metta le mani nel fango, incontri la gente, cerchi i personaggi della strada. E già che ci sono rifletto anche sul nostro mondo e sul ruolo della memoria. Un modo di raccontare un mondo senza social, dove tutti oggi si specchiano come delle scimmie, e riportare l’uomo indietro alla natura. Il film originale l’ho visto a 15 anni ed è stato fondamentale. Il suo impatto visivo mi ha spinto a fare il regista. Per me era eccezionale perché ero abituato a vedere film di fantascienza per adolescenti. Ringrazio registi come Scott ma anche Christopher Nolan che portano un genere a un livello più alto. Certo, non ho accettato a cuor leggero di fare il sequel di un film cult. So che è un rischio forte e che le possibilità di insuccesso sono tante. Ma il cinema è arte e dunque anche rischio, amo il cinema e l’ho fatto per questo, accettando il mio ruolo”.

“Interpreto una sorta di Audrey Hepburn in preda alla Lsd – spiega Hoeks che, ricordiamo, ha lavorato con Tornatore in La miglior offerta – Il Blade Runner di Scott è un film che ebbe su di me un enorme impatto. E poi c’era Rutger Hauer, un eroe nazionale per me che sono olandese”.

“E anche Gosling era perfetto – chiude Villeneuve – per questo thriller esistenziale. Amo gli attori con carisma, come Clint Eastwood che recitano anche quando non battono ciglio. E poi Gosling è in ogni sequenza del film, mi ci voleva un attore con le spalle forti”.

Andrea Guglielmino
03 Ottobre 2017

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