La musica protagonista a Pordenone

La musica dal vivo è sempre al centro delle Giornate del cinema muto. Così è stato per la proiezione di Una campagna senza precedenti di Mikhail Kaufman accompagnato dall’Anton Baibakov Collective


PORDENONE – La musica dal vivo è sempre protagonista alle Giornate del cinema muto. Così è stato in modo particolare per la proiezione di Una campagna senza precedenti di Mikhail Kaufman, film di propaganda ma non solo da poco riscoperto e accompagnato dalle sonorità inconsuete, tra ‘nu jazz’ e progressive, dell’Anton Baibakov Collective arrivato dall’Ucraina per l’occasione. Kaufman era il fratello di Dziga Vertov, autore ben più celebre di lui che, dopo essere stato licenziato dal Sovkino di Mosca, si era trasferito nel 1927 in Ucraina, a Kiev, dove c’era un’autonoma industria cinematografica. Qui fu raggiunto da Mikhail, che divenne suo operatore per L’undicesimo e L’uomo con la macchina da presa e girò alcuni documentari in proprio, tra i quali questo nel 1931. Il film viene presentato alle Giornate del muto dall’Oleksandr Dovzhenko National Film Centre di Kiev ed è davvero un sorprendente esempio di cinema puro, dove il documentario con finalità politiche e di educazione delle masse si sposa col culto della modernità e delle macchine e con le teorie del montaggio. Una campagna senza precedenti era stato concepito infatti come celebrazione del primo piano quinquennale (1928-1932) che avrebbe dovuto accompagnare il trionfo dell’industria e dell’agricoltura meccanizzata, dell’assistenza sociale e dell’alfabetizzazione, ma conteneva anche un preciso affondo contro i kulaki, i contadini ricchi che ostacolavano la diffusione del socialismo con il loro attaccamento alla proprietà privata. Kaufman filmò le scene della collettivizzazione delle terre e la meccanizzazione avviata nel più grande kolhkoz di grano della regione Kuban con i nuovi trattori prodotti a Stalingrado che andavano a sostituire le macchine agricole inglesi o americane (le Caterpillar), ma indugiò molto anche sui volti di operai e contadini, volti assolutamente cinematografici e capaci di trasmettere storie di vita in una sola inquadratura. Ritmo frenetico e montaggio veloce, sincopato come la musica, sono appunto sottolineati dallo straordinario tappeto musicale dell’Anton Baibakov Collective creato per questo film che termina con un cartello inquietante inneggiante alla “liquidazione dei kulaki come classe”, cartello non sappiamo quanto voluto da Kaufman o imposto da Mosca. Certo è che le immagini del 1931, l’abbondanza del raccolto, i contadini felici e sorridenti, le donne robuste alla guida dei trattori con bicipiti al vento e collana di perle attorno al collo, i bambini nutriti e biondissimi, acquistano oggi un sapore amaro pensando alla tragedia che si stava addensando all’orizzonte con la grande carestia (holodomor ovvero morte per fame) e la repressione che i bolscevichi attuarono l’anno dopo nei confronti dei piccoli proprietari terrieri. Una delle più drammatiche pagine di storia del secolo scorso ancora da chiarire al di là delle strumentalizzazioni di parte. Nel marzo 2008 il parlamento dell’Ucraina e 19 nazioni indipendenti hanno riconosciuto le azioni del governo sovietico nell’Ucraina dei primi anni ’30 come atti di genocidio.

Dimenticato per più di 80 anni, Una campagna senza precedenti è stato mostrato per la prima volta a Kiev alla fine del 2015. Non si tratta del solo riferimento al centenario della Rivoluzione russa, ricordata alle Giornate anche con due documenti controcorrente, due film americani antibolscevichi espressione della ‘paura rossa’, raccontata ad esempio da The Right to Happiness del 1919, con la regia di Allen Holubur.

In apertura di serata, dopo gli straordinari cortometraggi Lumière, rulli in 35 mm datati intorno al 1896-1903, che sono stati restaurati grazie alla borsa di studio Haghefilm Digitaal Selznick School andata all’americano Samuel B. Lane, ecco un sontuoso Ernst Lubitsch del periodo tedesco con la Carmen del 1918 accompagnata dalla partitura composta da Gabriel Thibaudeau, che si è esibito insieme alla violoncellista Cristina Nadal. L’allora 26enne Lubitsch, abbandonata la recitazione per dedicarsi alla regia, si imbatte in Pola Negri, cantante e ballerina polacca (1897-1987) che deve il nome alla sua ammirazione per la poetessa italiana Ada Negri. Nella Carmen, la diva ha modo di esprimere tutto il suo carisma prorompente nel ruolo di questa celebre antieroina nata dalla penna di Prosper Mérimée. Questa versione di Lubitsch, che pesca elementi e personaggi anche dalla trama dell’opera di Bizet, ce la mostra come una donna sessualmente spregiudicata, che non esita a usare le sue grazie per ottenere favori e nello stesso tempo è refrattaria a qualsiasi legame, una gitana che non vuole perdere la sua libertà di scelta e di movimento suscitando la gelosia omicida di Don José: la scena finale sembra rimandare ai femminicidi contemporanei. Non mancano le notazione caricaturali (come nella descrizione dei contrabbandieri) e le scene di massa, tra cui un assalto dei banditi alla diligenza quasi in stile western, per questo film girato negli studi di Tempelhof dove sono ricostruite sia Siviglia che la Rocca di Gibilterra.

Ricorda Pola Negri nella sua autobiografia, Memoirs of a Star, pubblicata nel 1970. “A quell’epoca, erano i primi tempi dell’UFA, anche se sembrava che il mondo intorno a noi cadesse a pezzi, Lubitsch e io abbiamo vissuto insieme sul set molti momenti fantastici. Forse la Berlino di quel periodo era l’unico luogo in cui avremmo potuto giungere a quei risultati”.

Le origini di Pola Negri sono avvolte nella leggenda alimentata da lei stessa. Di certo crebbe in Polonia in assoluta povertà, e dovette ben presto interrompere una promettente carriera di ballerina per ripiegare sul teatro. Chiamata in Germania dal grande impresario e regista teatrale Max Reinhardt, dopo una sola stagione di prosa passa al cinema e viene scritturata dall’UFA, la maggiore casa di produzione tedesca. Inizia la collaborazione con Lubitsch che la porta alla definitiva consacrazione. Per il regista, poi trapiantato a Hollywood, che pure di dive ne conobbe e diresse tante, Pola Negri rimase sempre “una delle persone dotate di maggiore vitalità e magnetismo mai incontrate”.

Insieme si trasferirono in America. Ma con l’avvento del sonoro Pola Negri, la cui voce venne giudicata troppo dura ed enfatica, preferì tornare in Germania dove poteva ancora avere ruoli da protagonista, contando sul favore di Hitler, che non badò troppo alle sue origini ebraiche. 

Cristiana Paternò
05 Ottobre 2017

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