Gli scienziati del CERN di Ginevra tra verità e bellezza

A Visioni dal mondo il doc Il senso della bellezza che entra al CERN di Ginevra dove la comunità scientifica è impegnata nella ricerca della misteriosa energia che ha dato origine all'universo


MILANO. Dal Regno Unito in realtà diviso dal referendum sulla Brexit alle battaglie degli animalisti per salvare gli ultimi grandi animali del pianeta; dalla musica dei Nativi Americani agli operai siriani impegnati a Beirut nella costruzione di un grattacielo mentre le loro case e famiglie sono minacciate dalla guerra civile. Questi alcuni dei temi affrontati nel ‘Panorama internazionale’ del Festival Visioni dal mondo.
A questa sezione partecipa Il senso della bellezza – una coproduzione italo-svizzera che sarà al Prix Europa a metà ottobre e Evento Cinema con Officine Ubu il 21 e 22 novembre – di Valerio Jalongo che entra al Consiglio europeo per la ricerca nucleare, con sede a Ginevra, e dove nel 1990 è nato il World Wide Web (www), quella sigla, quello spazio web grazie al quale navighiamo in rete.
Il CERN è un’istituzione europea creata nel dopoguerra, nel 1954, dai fisici europei con scopi pacifici, senza finalità di lucro, e le sue scoperte sono condivise e a disposizione di tutti. Questa ampia comunità scientifica, come ci mostra il documentario Il senso della bellezza, collabora intorno alla più grande macchina mai costruita dall’uomo – il Large Hadron Collider-LHC – alla ricerca della misteriosa energia che ha dato origine all’universo subito dopo il Big Bang.
E’ un territorio invisibile quello indagato dagli scienziati che sono guidati da qualcosa che li accomuna agli artisti, verso quella linea d’ombra in cui scienza e arte, in modi diversi, inseguono verità e bellezza. “La scienza non cerca verità assolute, è sempre in cammino, sospinta solo dal dubbio e dall’ansia di conoscere – afferma Jalongo –  ‘Da dove veniamo? Che cosa siamo? Dove andiamo?’ è uno dei quadri più belli di Paul Gauguin, e queste grandi domande di solito le associamo alla filosofia, alla religione, all’arte, non certo alle scienze esatte. È questa la matrice profondamente umana che rintracciamo nella Fisica e in particolare nelle ricerche del CERN”.

Jalongo è attualmente impegnato nel progetto Storia di classe, per ora finanziato da Rai Cinema MiBACT e Aura Films, e in fase di completamento finanziario. Un racconto corale che segue le vite parallele di alcuni giovani adulti tra i 25 e i 29 anni e di alcuni professori oggi in pensione. Erano alunni e professori di una classe di un istituto della periferia romana, le cui vicende sono state videoregistrate dal 2004 al 2007. A distanza di tempo quegli insegnanti vanno alla ricerca dei loro ex studenti in un viaggio che diventa una riflessione sulla scuola e sulla possibilità di riscatto.

Sono 12 i titoli del Concorso italiano che concorrono al Premio UniCredit Pavilion di 5mila euro, al Premio UniCredit Pavilion Giovani di 2.500 € e al Riconoscimento Rai Cinema, che prevede l’acquisizione dei diritti televisivi per le Reti Rai.
Sulla stessa barca di Stefania Muresu, dedicato a tutte le persone che attraversano le frontiere e a chi non è mai arrivato, s’affida al racconto in prima persona dei migranti, tutti maschi, ospitati in Sardegna da una struttura d’accoglienza. Toni è arrivato dalla Libia dopo una drammatica attraversata del Mediterraneo e ora attende che la sua richiesta d’asilo venga accolta. Da un’altra parte dell’isola dei giovani africani dormono nella loro fragile e improvvisata capanna in plastica, costruita nel cuore di un bosco, con la speranza che la loro vita cambi una volta in possesso del permesso di soggiorno.
“Ho visitato per un anno i centri di accoglienza, costruendo un rapporto di fiducia con le persone. Non ho avuto nessun problema di genere nel rappresentare un mondo maschile. Il bianco e nero ha una funzione narrativa, l’ho scelto in fase di montaggio, perché volevo parlare in modo universale, senza tempo e luogo – spiega la regista – A colori ho lasciato le immagini dei viaggi in mare realizzate con i cellulari, esse hanno un grande valore documentario, lì c’è la verità. Quanto alla capanna è stata ricostruita, è la trasposizione di una memoria”.

Eat Me è uno sguardo dall’interno e ravvicinato sull’anoressia e sui Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA), grazie alle testimonianze in prima persona di genitori e ragazze coinvolte. Per due anni gli autori di Eat Me, Ruben Lagattolla e Filippo Biagianti hanno seguito il percorso di Gloria e Simona sofferenti di due forme di disagio, rispettivamente anoressia e obesità.
“Abbiamo provato a raccontare in presa diretta, evitando il filtro dell’intervista frontale. Grazie a due strutture di Varese e Ancona che si occupano di questo disturbo alimentare – spiega il regista Biagianti – siamo infatti entrati in contatto con due famiglie che hanno accettato, dopo una fase di avvicinamento, di essere riprese quotidianamente. Per non essere troppo invasivi, abbiamo utilizzato delle piccole videocamere. Alla fine il nostro documentario  non indica soluzioni, ma è solo uno spunto di riflessione che porta ad altre domande”.

Con L’oro dei giorni, una produzione della Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano firmata da 4 giovani (Léa Delbés, Federico Frefel, Greta Nani e Michele Silva) ci troviamo nella piscina all’aperto di un quartiere periferico (Niguarda) del capoluogo lombardo. In quel microcosmo che dura una stagione, gli autori s’imbattono più o meno casualmente con chi frequenta il Centro Balneare Scarioni: bagnini un po’ annoiati, giovanissimi irrequieti ed esagitati, anziani milanesi, famiglie ecuadoregne. “Abbiamo voluto raccontare un periodo estivo che porta con sé un senso di attesa, di aspettativa. Per narrare questo sentimento abbiamo scelto un luogo aperto solo d’estate, uno spazio circoscritto. Il documentario è frutto di 30 giorni di riprese, più di 30 ore di girato e 6 mesi di montaggio”, dicono gli autori.

Stefano Stefanutto Rosa
06 Ottobre 2017

Visioni dal mondo 2017

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