Orlando Bloom, una lucertola che incanta la Festa

Red carpet affollatissimo alla Festa di Roma, con i fan in delirio sin dalle prime ore della giornata per l’attore britannico, ad Alice nella città per presentare Romans, e per la consueta Masterclass


“Scelgo il personaggio nel momento in cui sento di potergli offrire qualcosa e, al tempo stesso, se mi accorgo che può darmi delle nuove idee ed essere per me una sfida da affrontare”, rivela Orlando Bloom, ospite attesissimo della Festa di Roma dove presenta, come evento speciale di Alice nella città, Romans, opera seconda dei fratelli Ludwig e Paul Shammasian che racconta la storia di un uomo alle prese con la propria insicurezza dovuta ad un abuso subito in adolescenza da parte di un sacertode. Un film dai toni assai differenti rispetto alle pellicole finora interpretate, basato su una storia vera coraggiosamente raccontata dallo sceneggiatore del film, Geoff Thompson che quella violenza l’ha subita in prima persona: “Ho visto in Romans l’opportunità di esplorare nel profondo un personaggio nuovo – sottolinea l’attore – la possibilità  di capire un universo difficile e complesso, per me non direttamente conosciuto, come può essere quello dell’abuso sessuale e delle sue conseguenze. E’ un personaggio che vive un enorme tormento interiore, difficile da affrontare senza avere un supporto. Sentivo la responsabilità di rendere omaggio al personaggio e a chi ha vissuto questo tipo di trauma”. Quando ho letto la sceneggiatura già a metà della prima pagina ho capito che era un lavoro che volevo fare. C’era tutto il personaggio perfettamente descritto in poche righe, ed era lì che demoliva una chiesa, simbolo della violenza subita”. Un film girato due anni e mezzo fa e che, dopo vicende alterne, solo ora vede la luce: “E’ molto interessante che il film esca proprio in questo periodo di grandi rivelazioni sugli abusi, un momento in cui le persone vengono esposte e la società, giustamente, reagisce”. Ma non se la sente di esprimere opinioni sull’operato della Chiesa e su quanto ha fatto, o non fatto, per evitare il perpetrarsi di violenze sui minori: “Non sono cattolico e non mi sento in una posizione in grado di esprimere un’opinione su quello che sta facendo la chiesa. Mi sento solo di dire che l’unica strada per superare una violenza è senza dubbio il perdono. Ho parlato molto con Geoff della sua esperienza e mi ha detto che solo quando ha perdonato si è sentito libero di vivere la sua vita e a suo agio con quello che stava facendo, tanto da arrivare a fare un gesto così coraggioso come quello di scrivere una sceneggiatura, condividendo la sua storia anche per aiutare gli altri”.

Un red carpet affollatissimo alla Festa, con i fan in delirio che sin dalle prime ore della giornata hanno atteso pazientemente l’attore britannico, che al festival è stato anche protagonista della Masterclass con i ragazzi in cui ha parlato dei passaggi più importanti della sua carriera di interprete. A partire dalla prima apparizione sullo schermo in Wilde di Brian Gilbert, una parte ottenuta da sedicenne mentre ancora studiava all’Accademia d’arte drammatica di Londra, insieme a Maya Sansa che definisce con entusiasmo una grande artista: “Mi sono preso un weekend di pausa dallo studio per andare a girare il film, all’epoca avevo tanta voglia di fare l’attore e un agente che mi proponeva di qualsiasi parte. Ricordo che in quel periodo l’Accademia un giorno ci ha portato allo zoo per studiare il comportamento animale, a me hanno chiesto di fare la lucertola. Lì per lì ci ho riso su, ma da quell’esperienza ho appreso molto della capacità di restare immobili in scena”.

Il grande successo gli arriva poi, e all’improvviso, con Il Signore degli anelli, “Peter Jackson mi ha chiamato l’ultimo giorno di Accademia”, rivela. Un film che gli ha portato un risultato di fama inaspettato, “in un periodo in cui non c’erano ancora tante trilogie sul mercato e la sera ci scambiavamo fax con il regista sulle scene da interpretare il giorno dopo. All’epoca ero un giovane attore al mio primo vero ruolo – continua – e la mia idea era quella di rimanere il più possibile fedele al libro, mentre il regista, un ragazzone a cui piace ancora giocare, aveva una visione più ampia dell’intera storia. L’impatto improvviso e inaspettato con la popolarità è stato surreale. Quando il film è uscito ero in India con alcuni amici e ho fatto finta che non stesse succedendo niente, è stata una delle ultime volte in cui ho potuto sperimentare l’anonimato. A volte anche oggi ne sento la mancanza, ma non cambierei nulla di quello che mi è successo e sono estremamente grato alla vita per tutte le occasioni e opportunità che mi ha offerto”.

Un percorso simile a quello de I pirati dei Caraibi, altra saga che l’ha consacrato nell’Olimpo degli interpreti più amati dal pubblico giovane: “Nessuno credeva che fare un film sui pirati in quel momento fosse una grande idea. Tutti i film sul tema erano stati un vero flop. Anche il personaggio del capitan Jack Sparrow inizialmente era diverso, molto meno gestuale e più parlato. Poi è arrivato Johnny Depp a stravolgerlo, e la sua interpretazione indimenticabile ha regalato qualcosa di grande sia al film, che ha sfondato al botteghino, che a tutti noi”.

Carmen Diotaiuti
04 Novembre 2017

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