A lezione di restauro con L’Immagine Ritrovata

Davide Pozzi, direttore del Laboratorio L'Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, ha tenuto a Mar del Plata una conferenza sul restauro delle pellicole


MAR DEL PLATA – Grande è l’attenzione ai temi della conservazione e del restauro delle pellicole in Argentina, paese che pur avendo il maggior numero di ore di materiale filmico di tutta l’America Latina, lamenta una totale sparizione del suo cinema muto e grandi lacune anche per quanto riguarda il sonoro. Così è nata una nuova istituzione, la Cinemateca y Archivio de la Imagen Nacional, che si sta impegnando nella formazione di personale specializzato. E a Davide Pozzi, direttore del Laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna, è toccato animare una interessante e molto seguita conferenza sull’argomento. A partire da due restauri del Laboratorio presentati qui al Festival di Mar del Plata: quello di Blow up di Michelangelo Antonioni (1966), curato dalla Cineteca di Bologna in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà con la supervisione di Luca Bigazzi, e quello del film cubano Lucia di Humberto Solas (1968).
“Sono due film quasi coevi – ha spiegato Pozzi – ma completamente diversi. Lucia è in bianco e nero, Blow up a colori e già questo è un aspetto fondamentale per capire la metodologia da applicare che non comporta solo il restauro fisico del film con l’eliminazione di graffi e sporcizia, ma una parte soggettiva che richiede una serie di scelte filologiche”.

Pozzi ritiene che il negativo originale sia la miglior fonte possibile. “Per Blow up l’avevamo, mentre per Lucia abbiamo fatto ricorso anche a testi di storici e studiosi che ci hanno aiutato a capire le scelte di luce del direttore della fotografia, tra l’altro diverse per i tre episodi di cui è composta la pellicola”. La color correction, prosegue Pozzi, è uno degli aspetti più soggettivi. “La percezione del colore varia da cultura a cultura, è diversa per un italiano e per un asiatico. Cambia anche nelle varie epoche. La tecnologia di oggi ci permette di fare praticamente qualsiasi cosa, invece dobbiamo contenerci, rispettare l’originale e non migliorare o abbellire il film. Se abbiamo una stampa in 35 mm quella è la miglior testimonianza di come era il film all’epoca. Nel caso di Blow up ci siamo potuti basare su una copia del film posseduta da Martin Scorsese nella sua collezione privata”.

Altro approccio in uso è naturalmente quello di fare riferimento al regista e o al dop, sempre che siano ancora vivi. “Ma vanno comunque presi con le molle perché magari vogliono cambiare a posteriori la loro opera con il senno di poi, per esempio se era la loro opera prima. Sia Olmi per L’albero degli zoccoli che Bellocchio per I pugni in tasca erano propensi a rielaborare il look dei loro film e c’è stato bisogno di convincerli a non farlo”.

Al Laboratorio L’Immagine Ritrovata lavorano circa 80 persone per un’ottantina di titoli l’anno. Per un restauro possono volerci anche molti mesi, otto nel caso di Blow up che ha coinvolto in prima persona anche le vedove di Michelangelo Antonioni e Carlo Di Palma, Enrica Antonioni e Adriana Chiesa. Tra gli aspetti affrontati nella conferenza anche la scelta dei film da riportare in vita. “E’ normale puntare sui grandi capolavori, spesso in occasione di qualche anniversario o ricorrenza, ma bisognerebbe cominciare a restaurare anche film meno celebri come si fa in Francia dove il ministero della Cultura finanzia la digitalizzazione dell’intero patrimonio filmico. Oggi la tecnologia è divenuta più economica e apre grande possibilità anche ai film e agli autori meno noti”. 

Cristiana Paternò
19 Novembre 2017

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